BEATRICE CENCI, LA TRISTE FINE DI UNA INNOCENZA OPPRESSA

La tragica vicenda di cui fu protagonista la giovane nobile romana (1577-1599), forse la più famosa detenuta delle prigioni di Castel Sant'Angelo, suscitò in epoca romantica l'ammirazione di Shelley, Stendhal e Dumas, i quali nelle loro opere immortalarono l'eroina che, sola in una famiglia di codardi, osò vendicarsi degli oltraggi subiti da un padre crudele, andando coraggiosamente incontro alla morte.

Beatrice, figlia di Francesco Cenci, uno degli uomini più ricchi di Roma ma altrettanto dissoluto e violento, subì per tutta la sua adolescenza e giovinezza sevizie ed abusi da parte del padre che, temendo che un eventuale matrimonio della figlia potesse intaccare i suoi averi, già dissestati dalle continue spese ed esautorati dalle speculazioni, la segregò, insieme con la matrigna, nella rocca di Petrella Salto vicino Rieti, dove possedeva un castello.

Esasperata dalle continue violenze che anche in quel posto sperduto il padre continuava a usarle, la Cenci, avvalendosi della complicità del carceriere Olimpio Calvetti, forse divenuto suo amante, lo fece allora trucidare, simulando un incidente.

Molte voci gridarono subito al delitto ed una rapida inchiesta condusse all'arresto di Beatrice e dei suoi fratelli Giacomo e Bernardo, che avevano collaborato al suo piano. Dopo la confessione sotto tortura, il processo, seguito dal popolo inorridito ed emozionato, malgrado le molte attenuanti e la simpatia dell'opinione pubblica, fu determinato dall'interesse di papa Clemente VIII ad incamerare i beni confiscati dopo la fine della famiglia. All'esecuzione sulla piazza di Ponte Sant'Angelo (sul lato del ponte opposto al castello) l'11 settembre del 1599 assistette una folla immensa di persone, commossa dalla giovinezza e dal coraggio della fanciulla nel salire sul patibolo. Durante l'esecuzione vi furono ribellioni contro il papa e tumulti e diverse persone trovarono addirittura la morte per la rottura di un palco. Il boia stesso alcune settimane dopo, lacerato dai sensi di colpa per aver spezzato la vita di Beatrice e della sua famiglia, si uccise.

Fra gli spettatori si trovava forse anche Caravaggio, che pare avesse tratto ispirazione proprio dalla decapitazione di Beatrice nel dipingere la Giuditta che taglia la testa a Oloferne, la cui resa estremamente realistica e cruda lascia presupporre la visione diretta della decapitazione da parte dell'artista.

Ancora oggi, la notte anniversario della sua decapitazione, si può osservare il fantasma di Beatrice camminare lungo il ponte, con la testa mozza sotto il braccio, alla ricerca di una giustizia ed una pace negate.