LA CONSERVAZIONE DELL'ACQUA NEI SERBATOI

La conservazione dell'acqua per un uso procrastinato nel tempo è stata da sempre una preoccupazione dell'umanità, che vi ha provveduto creando allo scopo vari tipi di serbatoi.

I Romani, a tale scopo, realizzarono grandi e piccoli ambienti rivestiti di intonaco impermeabile (il cocciopesto) per una altezza superiore a quella che avrebbe avuto l'acqua del serbatoio. Inoltre, in quasi tutti si possono osservare gli angoli, sia in piano che in verticale, rinforzati da cordoli, in cocciopesto, che impedivano le infiltrazioni dell'acqua nelle giunzioni tra gli intonaci delle murature e del pavimento. Quasi tutti i serbatoi sono coperti a volta. I muri avevano sempre elevato spessore per contrastare la pressione dell'acqua. Le forme, in pianta, potevano essere quadrangolari o tondeggianti e, nelle conserve di maggiore grandezza, si hanno più camere comunicanti fra loro tramite archi bassi.

Per la raccolta dell'acqua piovana i tecnici romani avevano accumulato una lunga esperienza con la realizzazione di decine di migliaia di cisterne fin dall'epoca arcaica. Ne esistono esempi distribuiti in tutto il territorio italiano e in tutto l'impero romano. Le cisterne hanno uno o più ingressi per l'acqua e uno scarico di fondo, non sempre presente. Con tale esperienza i Romani scoprirono il vantaggio della conservazione in serbatoi, e trasferirono l'uso dalle cisterne ai serbatoi con i quali accumulavano l'acqua proveniente dagli acquedotti. Passare dalle cisterne, per la conservazione dell'acqua piovana, ai serbatoi, accumuli temporanei d'acqua proveniente costantemente da un acquedotto, comporta un salto logico enorme. Con lo stoccaggio di acqua proveniente da una fonte perenne si "programmava" l'uso dell'acqua accumulata solo di alcune ore. Significava calcolare perfettamente i consumi nell'arco dell'intera giornata e stimare i consumi di punta, quelli cioè delle ore di massimo uso.

Nei grandi serbatoi, almeno quelli studiati fino ad oggi, l'accumulo serviva perfettamente per l'uso diurno e quindi l'acqua si accumulava di notte. A Roma sono noti numerosi grandi serbatoi: quello dell'acquedotto Vergine presso la Fontana di Trevi, quello delle Sette Sale sul colle Oppio, quello delle terme di Caracalla, quello di Termini, ormai scomparso, quello del Celio che doveva consentire l'alimentazione anche del Colosseo (ce ne resta un disegno del '500) e molti altri sparsi nella città e ubicati sempre sui colli per garantire l'approvvigionamento in pressione alle varie utenze delle zone a valle.

Grandi serbatoi (castella) erano localizzati al termine degli acquedotti o, in molti casi, a monte di grandi utenze, quali erano ad esempio le terme. È infatti dai serbatoi terminali (castellum aquae) che veniva derivata l'acqua, non più attraverso canali, ma con tubazioni in pressione (fistulae), per la distribuzione in tutte le città, grandi o piccole che fossero, alle utenze pubbliche come le fontane, e private come balnea e domus.