SCIENZA IDRAULICA E GENIALITA' COSTRUTTIVA DEL POPOLO ROMANO

I Romani appaiono sullo scenario del Mediterraneo quando molti problemi, teorici e pratici, di tecnica idraulica, erano stati risolti. Essi fanno tesoro della esperienza di altri popoli e raggiungono nel settore idraulico un tale livello tecnico che verrà superato solo nel 1800, con l'invenzione e la diffusione dei motori a vapore e delle tubazioni estruse in ferro.

E' noto che gli antichi Romani ereditarono dal mondo ellenistico le capacità tecniche per dominare l'acqua. La capacità speculativa greca, arricchita dalla millenaria capacità tecnica dell'Egitto e del Vicino Oriente, produce, per l'antichità, un irripetibile sviluppo delle scienze, in particolare di quella idraulica.

Euclide, Talete, Pitagora o Ctesibio sono solo alcune delle decine di pensatori che contribuirono, su base scientifica, alla costruzione di complesse macchine e strumenti di misura che il mondo romano assorbì ed assimilò. I Romani si preoccupavano poco delle elaborazioni che stavano a monte delle scoperte scientifiche. Spesso neanche comprendevano fino in fondo i complessi ragionamenti degli scienziati ellenistici, ma intesero perfettamente l'importanza dei loro scoperte. Le copiarono, le migliorarono, le standardizzarono e le diffusero facendone un'arma fondamentale per la conquista ed il consolidamento del consenso.

La "cultura dell'acqua", pur essendo presente in altre civiltà, costituisce un aspetto tipico e precipuo della civiltà romana, che si manifesta attraverso un utilizzo dell'elemento non solo a fini pratici (potabile e igienico-sanitario), ma anche per scopi ludici e di benessere fisico (bagni, terme) e, infine, per scopi decorativi con i ninfei e le grandi e piccole fontane monumentali.

Potrebbe dirsi che si instaura una sorta di tacita alleanza tra potere politico e tecnica idraulica, l'acqua diventa uno degli strumenti principali, accanto alle leggi e alla forza militare, per detenere il potere, per spettacolarizzarlo, per sorprendere, in una parola, per dominare.

Due sono le principali fonti antiche che ci forniscono dati ed informazioni dirette sulle capacità tecniche romane nel campo dell'idraulica. Marco Vitruvio Pollione nel I secolo a.C. nel De Architectura descrive i sistemi di ricerca, i metodi per valutare la qualità delle acque, i criteri costruttivi degli acquedotti ed i sistemi di immagazzinamento dell'acqua. Sesto Giulio Frontino, alla fine del I secolo d.C., nel De Aquaeductu Urbis Romae, descrive meticolosamente gli acquedotti che alimentavano Roma in quell'epoca, indicando per ognuno di essi la quantità d'acqua addotta, le caratteristiche costruttive, la lunghezza, il tracciato e le dimensioni. Inoltre entra nelle problematiche della gestione e della distribuzione dell'acqua, dandoci anche utili elementi per capire l'organizzazione amministrativa, il sistema di pagamento e la protezione contro gli allacci abusivi.

Per secoli gli acquedotti romani (in particolare le grandi arcate che si possono osservare nella campagna romana) sono stati distrutti, copiati, riutilizzati, restaurati, ma occorre aspettare il 1600 per avere, almeno per gli acquedotti di Roma, una nuova descrizione dettagliata nel trattato di R. Fabretti, De aquis et aquaeductibus veteris Romae. Sono pochi gli studiosi che, in seguito, fino agli anni a cavallo tra il 1800 e 1900, si sono occupati dell'argomento. Nel 1900 l'interesse per la tecnica idraulica antica sembra essere affievolito e solo degli ultimi decenni gli studiosi ed i tecnici hanno mostrato per la materia l'attenzione che merita.

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