L'ISOLA TIBERINA, IL PONTE FABRICIO E IL SERPENTE DI ESCULAPIO

Papa Sisto V (che in cinque anni di regno dal 1585 al 1590, si dice che fece costruire cinque strade, cinque ponti, cinque fontane, e lasciò un'eredità di cinque milioni di scudi d'oro) ordinò che il Ponte Fabricio, che collega l'isola tiberina alla riva sinistra del Tevere, risalente al 62 a.C., venisse ristrutturato. A tale scopo incaricò quattro architetti tra i più valenti e famosi del suo tempo. Questi però non andavano per nulla d'accordo, e fu così che durante i lavori si scatenarono violenti litigi. Il restauro fu comunque eseguito egregiamente e il papa si congratulò con i quattro architetti, ma per le gravi voci che erano circolate su di loro, ordinò che fossero decapitati sul ponte stesso. Visto che comunque il lavoro era stato eseguito nel migliore dei modi (e forse a monito per i posteri), si dice che il pontefice decise di erigere per loro un monumento che rappresentava le quattro teste unite in un unico blocco di pietra. Si tratta delle stesse erme ammirabili oggi, i pilastrini inseriti nelle spallette del ponte, che in realtà rappresentano Giano, il dio che secondo i romani proteggeva i passaggi, le porte e quindi anche i ponti.

Nel XVI secolo per la sua vicinanza al Ghetto, ed essendo frequente luogo di passaggio degli Ebrei che dal Trastevere (area da loro scelta in epoca antichissima per stabilirsi con le loro attività commerciali) si recavano alla riva sinistra o ne tornavano, fu chiamato "pons Judaeorum" ovvero il ponte dei Giudei.

Per quanto riguarda invece l'iperattività edilizia e urbanistica di Sisto V, su di essa circola anche un'altra leggenda. Il papa chiese un giorno all'architetto Domenico Fontana di realizzare un largo rettilineo che unisse il Vaticano al Laterano. Quando questi gli fece presente che una strada del genere - senza prevedere deviazioni - sarebbe dovuta transitare esattamente sopra il Colosseo, il papa non ebbe nessun dubbio: "si tagli il Colosseo" ordinò! Per fortuna, morì prima che il suo disegno distruttivo potesse compiersi!

Percorrendo il ponte si arriva a Piazza di San Bartolomeo all'Isola, nel cuore dell'ISOLA TIBERINA, che in epoca romana era meglio nota come "insula inter duos pontes": luogo antico, misterioso ed emblematico nella storia della città.

In passato sull'isola trovavano ospitalità i Sacconi Rossi ovvero i membri della Veneranda Confraternita de' devoti di Gesù Cristo al Calvario e di Maria Santissima Addolorata, creata nel XVII secolo. Il loro compito era ripescare e dare sepoltura, se nessuno li reclamava, agli annegati nel Tevere. Un atto di carità svolto indossando i caratteristici cappucci e mantelli rossi, da cui il soprannome. Con gusto necrofilo tutto barocco, le ossa scarnificate venivano deposte in maniera decorativa in una cripta ancora oggi esistente nel cosiddetto "Lazzaretto Brutto", a sinistra della basilica di san Bartolomeo. Il 2 novembre di ogni anno ha luogo una processione notturna alla luce di centinaia di lumini in memoria degli annegati, alla quale partecipano, in costume, i membri della Confraternita tuttora esistente. Nel corso della cerimonia, corone di fiori vengono gettate nel fiume.

Davanti alla chiesa di san Bartolomeo invece venivano anticamente (XVII - XIX secolo) affissi dei cartelli con i nomi di coloro che, nel corso del periodo pasquale, non si erano attenuti ai sacri precetti e agli obblighi di partecipazione alla Eucaristia. Nel 1834 vi comparve tra gli altri quello di un celebre artista, Bartolomeo Pinelli, incisore, pittore e ceramista vissuto a cavallo tra Settecento e Ottocento, che ha prodotto centinaia di opere raffiguranti scene di quotidiana vita romana, e che nel cartello fu indicato come "miniaturista".

Indignato, appena messo al corrente della cosa, Pinelli corse dal parroco di san Bartolomeo e chiese di essere ricevuto, perché vi era stato un grave errore. Il sacerdote lo incontrò subito, pensando che l'uomo gli mostrasse la cedola che attestava l'essersi di nuovo accostato ai sacramenti, e che dunque volesse cancellare quella accusa infamante. Quale non fu invece la sua sorpresa quando l'artista chiese che in luogo di "miniaturista" si scrivesse "incisore", pretendendo una immediata rettifica! Ottenuto ciò che desiderava, girò i tacchi lasciando il prete di sasso e se ne tornò nel suo studio.

Nella chiesa di San Bartolomeo all'Isola si conserva una palla di cannone che nel 1849, nel corso dei bombardamenti francesi contro la città assediata dal Colle Gianicolo, si schiantò in una cappella laterale mentre era in corso la messa, senza causare vittime. Nella navata destra è murato alla parete e protetto da una grata in ferro un catino di bronzo contenente un tempo, secondo la tradizione, le spoglie di San Bartolomeo, ovvero la pelle del Santo scuoiato vivo, portata a Roma dalla città di Benevento nel 1180.

Sulla destra dell'altro ponte di accesso all'isola, il Ponte Cestio (costruito nel 46 a.C.), si trova una scala che consente di scendere fino alla sponda del Tevere. Girando intorno alla punta dell'isola si raggiunge un grande gruppo marmoreo che ha la forma della prua di una nave. Tra le immagini ancora riconoscibili, una figura di divinità e quella di un serpente.

Una antichissima leggenda racconta come il primo nucleo dell'isola si sia formato nel 509 a.C., quando i romani, all'epoca della cacciata dei Re, gettarono nel Tevere i covoni di grano di proprietà dei Tarquinii, in segno di spregio, legandoli a delle pietre per farli affondare. Tale accumulo di pietre sarebbe all'origine della formazione dell'isola. Si tratta di una leggenda priva di fondamento storico, in quanto l'isola è uno sperone tufaceo di antichissima formazione, solcato ai lati dai due bracci del fiume.

Nel 291 a.C., nel corso di una terribile epidemia di peste, i Romani inviarono una ambasceria ad Epidauro, in Grecia, per invocare l'aiuto del dio della medicina Esculapio. Improvvisamente il simulacro del dio, un serpente, prese vita al cospetto degli ambasciatori e di sua spontanea volontà si accomodò sulla nave romana, manifestando in questo modo l'espressa volontà del dio Esculapio di venire in aiuto alla città colpita dal morbo.

Mentre la nave degli ambasciatori risaliva il Tevere con il suo prezioso ospite, il serpente guizzò in acqua e risalì sull'isola, andando a creare la sua tana nel punto dove, subito dopo, fu posta la prima pietra del tempio a lui consacrato: la pestilenza cessò miracolosamente. Per ricordare questo specifico evento e il viaggio della nave con il serpente, tutta l'isola fu sagomata in blocchi di travertino e tufo a forma di imbarcazione, ricevendo una prua (di cui rimangono i citati resti sotto la sede della Polizia Fluviale) e una poppa (oggi sepolta sotto l'edificio dell'ospedale Fatebenefratelli).

Ancora oggi possiamo ammirare il bassorilievo purtroppo gravemente mutilo, che esibisce la figura del serpente, che è così divenuto il simbolo della medicina e di molte case farmaceutiche.

(tratto da: A.Toso Fei, Misteri di Roma, Venezia 2012, p. 178).