LA VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA: LE COMPLESSE FASI PROGETTUALI DELLA DECORAZIONE

I papi che seguirono Sisto IV Della Rovere (1471-1484) si limitarono a completarne l'opera rimasta incompleta in alcuni dettagli. Come indicano i frammenti recentemente venuti alla luce nella Sagrestia della Cappella Sistina, Innocenzo VIII coprì la volta a crociera di questo ambiente con un rivestimento ligneo dipinto e vi appose in chiave il proprio stemma in marmo policromo; Alessandro VI Borgia fece eseguire la decorazione a fresco delle pareti, oggi perduta.

Problemi di natura statica presero ad affliggere la Sistina a partire dall'inizio del pontificato di Giulio II, forse in seguito agli scavi eseguiti sia a nord che a sud dell'edificio, ai piedi della collina su cui sorgeva il Palazzo Apostolico, per creare le fondazioni della torre Borgia e del nuovo San Pietro. Nel maggio del 1504 una lunga crepa aprì diagonalmente la volta della cappella, provocando danni tali da determinarne la chiusura, protrattasi per sei mesi circa.

Alle questioni strutturali cercò di porre rimedio Bramante, mettendo in opera le catene ancora oggi visibili nel soffittone soprastante la volta, ma i danni subiti dalla decorazione affrescata, il cielo stellato opera di Pier Matteo d'Amelia, furono tanto gravi da convincere Giulio II a programmarne il rifacimento integrale e ad affidarne la realizzazione a Michelangelo.

La decisione di mettere in atto il progetto coincise con il momento dei contrasti dell'artista con il papa e con la sua fuga a Firenze: del 10 maggio 1506 è infatti la ben nota lettera di Piero Rosselli in cui questi informa il Buonarroti, che si trovava a Firenze, del colloquio intercorso tra lui, il papa e Bramante e dei dubbi sollevati da quest'ultimo in merito alla sua capacità di realizzare un progetto tanto complesso come quello della decorazione della Sistina. In sostanza Bramante affermava che Michelangelo "no volevi atendere se none a la sipoltura [di Giulio II, n.d.r.] e none a la pitura", il che rispecchiava molto fedelmente il pensiero dell'artista, e aggiunse "io credo che lui no' li basti el animo, perché lui non a fato tropo di figure e masimo le figure sono alte e in iscorcio et ène ata cosa che a dipignere in tera".

Se la presunta apparente malignità di alcune delle affermazioni del Bramante fu tale da scatenare le ire del focoso Rosselli, va però rilevato che i dubbi sollevati dall'architetto urbinate non erano in realtà senza motivo, dato che, per ciò che riguarda la pittura a fresco, a parte la sua probabile partecipazione in subordine alla decorazione della Cappella Tornabuoni in S.Maria Novella a Firenze (1488), non risulta che in precedenza il Buonarroti avesse prodotto qualcosa di più del Cartone per la battaglia di Cascina, cioè una sola opera e per di più rimasta allo stadio di progettazione grafica.

I problemi menzionati da Bramante erano dunque apparentemente reali ed è sorprendente che Michelangelo sia riuscito a superarli come se non esistessero, dandoci con la decorazione della Sistina un prodotto estremamente complesso dal punto di vista della costruzione prospettica e al tempo stesso, come ha dimostrato il recente restauro, di un livello qualitativo che, sul piano tecnico, ne fa l'equivalente di un trattato della pittura ad affresco.

Al termine di una accanita resistenza protrattasi per ben due anni, Michelangelo dovette piegarsi al volere del papa e l'8 maggio sottoscrisse il contratto, concordando, su stima di Giuliano da Sangallo, una cifra forfettaria di cui in seguito ebbe a lagnarsi più volte, come ad esempio nella lettera del 1523 al Fattucci, perché evidentemente si era rivelata largamente inferiore al dovuto.

Il programma iconografico iniziale era molto semplice e consisteva nei dodici Apostoli nei pennacchi, anche se nella lettera del 1523 si parla erroneamente di "lunecte" e per il "resto un certo partimento ripieno d'adornamenti chome s'usa". Successivamente, su istanza dello stesso Buonarroti, al quale "parea riuscissi cosa povera", il Papa gli dette "nova chommessione che io facessi ciò che io volevo".

Così, Michelangelo creò al di sopra dell'ultima cornice della Cappella una imponente struttura architettonica fittizia costituita da cinque arconi aperti al centro e intervallati da quattro vani rettangolari; in sostanza un impianto monumentale immaginariamente aperto verso l'esterno, al di là del quale compaiono in forma di visioni nove storie della Genesi - sei episodi della Creazione, dalla Separazione della Luce dalle Tenebre alla cacciata, e tre scene della vita di Noè, Sacrificio, Diluvio ed Ebbrezza - destinate ad illustrare le origini dell'umanità, la sua caduta, la sua prima riconciliazione con Dio e la promessa della futura redenzione. Ai lati dei vani situati al centro degli arconi, dieci angeli apteri in figura di Ignudi siedono su plinti lapidei trattenendo quelle che Vasari definisce "medaglie, dentrovi storie in bozza e contraffatte di bronzo e d'oro cavate dal Libro de' Re".

Infine, alla base della struttura, in corrispondenza degli arconi, dodici troni monumentali ospitano le figure dei Veggenti, cioè delle Sibille e dei Profeti, i quali in forma più o meno chiara preannunciarono all'uomo la venuta del Redentore.

Al mondo dei Veggenti e delle visioni profetiche della Genesi si contrappone più in basso quello degli Antenati di Cristo, raffigurati nelle lunette e nelle vele soprastanti, mentre nelle grandi vele angolari compaiono quattro storie di altrettanti eroi biblici, Giuditta, Davide, Mosè ed Esther, i quali con le loro imprese testimoniarono l'esistenza di un disegno divino di salvezza del popolo eletto. La serie degli antenati corrisponde tipologicamente a quella posta all'inizio del Vangelo di Matteo che inizia da Abramo e non da Adamo come nel Vangelo di Luca. Si tratta di un tema relativamente inconsueto e senza molti precedenti figurativi, sottilmente indagati sotto il profilo psicologico e visti soprattutto nel loro aggregarsi in nuclei familiari, con una serie di raffigurazioni del tema della madre con i figli, che sono tra le più innovative ed efficaci dell'intero ciclo decorativo.

Tra il mondo dei Veggenti e quello degli Antenati non vi è un collegamento strutturare reale, l'impianto illusionistico della volta non poggia materialmente su quello sottostante delle lunette e delle vele, ma vi è semplicemente giustapposto in un rapporto estremamente libero, di tipo dialettico. Un collegamento apparente, non reale ma fittizio, è creato dalla presenza dei bucrani, oggetti preganti forse allusivi alla caducità della vita, a lato dei quali sono disposti i nudi bronzei. Questi ultimi sono con ogni probabilità raffigurazioni di Angeli Ribelli e costituiscono il pendant terreno degli Ignudi; la loro natura è denunciata da un lato dal colore dei corpi, dall'altro dal gesto con cui la coppia soprastante la vela di Jesse indica le proprie orecchie, che sono chiaramente luciferine.

In passato gli studiosi hanno sottolineato più volte il carattere neoplatonico del programma iconografico della Sistina, mentre più recente è l'ipotesi di un rapporto con la predicazione di Savonarola. Stando alla lettera inviata al Fattucci, responsabile del programma sarebbe stato Michelangelo stesso, ma la testimonianza dell'artista è stata più volte messa in dubbio dalla critica che, per la maggior parte, ha preferito ipotizzare quanto meno un rapporto di collaborazione diretta con i teologi della corte papale.

Le proposte più articolate sono venute anzitutto da Frederick Hartt, il quale ha ipotizzato che l'estensore dello schema sia stato il francescano Marco Vigerio, autore del "Decachordum Christianum", pubblicato nel 1507 e dedicato a Giulio II, dal quale il teologo ottenne la porpora cardinalizia. Di altro avviso Esther Gordon Dotson la quale, a differenza di Hartt, ritiene che il ciclo non dipenda dalle dottrine di San Bonaventura ma da quelle di Sant'Agostino e che lo schema sia stato redatto da Egidio da Viterbo, uno dei più autorevoli teologi della corte di Giulio II, Vicario Generale dell'Ordine degli Agostiniani e perfettamente edotto sulle teorie neoplatoniche grazie agli studi compiuti a Firenze con Marsilio Ficino.

L'ipotesi che Michelangelo abbia effettivamente avuto una responsabilità preponderante nella estensione oltre che nella realizzazione del programma iconografico è stata recentemente proposta da Charles Hope ed è comunque indubbio che al momento di rappresentare i singoli motivi, il Buonarroti abbia spesso introdotto delle varianti, se non rielaborato o addirittura inventato il motivo, come in particolare nel caso della serie degli Antenati che si differenzia radicalmente da qualsiasi esempio preesistente.

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