CLIVUS PALATINUS, ARCUS DOMITIANI, ORTI FARNESIANI, CRIPTOPORTICO NERONIANO, CASA DI LIVIA, CASA DI AUGUSTO

CLIVO PALATINO E ARCO DI DOMIZIANO

Con il nome convenzionale di clivo Palatino si indica la strada basolata che, dall'arco di Tito e dalla via Sacra, conduce al Palatino. L'attuale livello stradale, frutto di rimaneggiamenti, nel primo tratto corrisponde a quello anteriore all'incendio del 64 d.C., nel secondo a quello posteriore all'incendio. Lungo la strada, sulla destra, si aprono le taberne, databili in età flavia, che si interrompono in corrispondenza di un grande podio in opera cementizia. È stato proposto di recente di riconoscere, in questo edificio, il tempio di Giove Statore il cui culto venne introdotto da Romolo durante le guerre tra Romani e Sabini. All'altezza del podio, sul lato destro del clivo Palatino, sono visibili i resti (restaurati con grosse scaglie di travertino) del basamento di un arco. La struttura, attribuita all'imperatore Domiziano, doveva costituire un accesso monumentale alla piazza, l'"area Palatina" antistante l'ingresso della Domus Flavia.

ORTI FARNESIANI

Sulla sommità del colle Palatino, al di sopra dei resti antichi, la famiglia Farnese in pieno Cinquecento impiantò lussureggianti giardini utili al proprio svago e ad ospitare magnifiche feste. Alessandro Farnese volle così dare un segno tangibile della potenza della sua famiglia, scegliendo il Palatino, in quanto luogo simbolo della storia di Roma, per la costruzione degli Orti Farnesiani. Questi vengono tradizionalmente attribuiti a Michelangelo ma, più probabilmente, furono tre i progettisti della villa: Vignola, Rinaldi e Del Duca. L'ingresso principale degli Orti, posto in origine sul Foro Romano, era segnato da un imponente portale oggi ricostruito all'ingresso dell'area archeologica su via di San Gregorio. Dal portale si dipartiva un sistema di rampe organizzato sull'asse prospettico della basilica di Massenzio, sul quale si innestava una serie complessa di terrazze e criptoportici che aveva il suo culmine nel "teatro del fontanone" con le soprastanti "uccelliere", destinate ad accogliere uccelli esotici (uccelli del paradiso, pavoni, pappagalli e galline d'India ovvero i tacchini provenienti dal nuovo mondo). Tutto il basamento della Domus Tiberiana era destinato a sorreggere i giardini organizzati secondo i canoni simmetrici del giardino all'italiana e abbelliti con le opere d'arte classica provenienti dagli stessi scavi del Palatino.

CRIPTOPORTICO NERONIANO

Con il termine criptoportico si definisce un corridoio semi sotterraneo coperto da una volta in muratura e illuminato da finestre a gola di lupo. Nella Domus Tiberiana queste strutture sono localizzate all'interno del basamento dell'edificio e costituiscono dei veri e propri collegamenti tra le varie zone della residenza imperiale. Il Criptoportico neroniano si apre sul fianco est della Domus. A circa tre quarti della lunghezza è visibile un'ampia scalea che portava ai piani superiori. Poco più avanti, sulla sinistra, si imposta un secondo braccio che conduce alla Domus Flavia. In questa zona rimangono ampie tracce di un mosaico pavimentale a tessere bianche e nere e i resti dei raffinati stucchi che decoravano la volta. Il criptoportico gira quindi a destra e costeggia la casa di Livia dando accesso al corridoio a piano inclinato che costituisce uno degli ingressi della casa. Nel tratto terminale è visibile una scaletta di collegamento con i piani superiori della Domus Tiberiana e poco più oltre l'innesto (oggi tamponato) di un altro criptoportico.

CASA DI LIVIA DRUSILLA

La tradizionale attribuzione di questa domus a Livia, moglie di Augusto, è basata sul rinvenimento di una fistula plumbea, con il nome Iulia Aug(usta), avvenuto durante gli scavi del 1869. Tale ritrovamento sembrò confermare la notizia di Tacito che Livia aveva abitato sul Palatino con il primo marito Tiberio Claudio Nerone e che qui aveva dato alla luce Tiberio, il futuro imperatore. Anche se non è ancora possibile identificare il proprietario originario, si può comunque affermare che l'edificio, databile in base alla tecnica costruttiva tra il 75 a.C. e il 50 a.C., doveva far parte del complesso augusteo di cui costituiva probabilmente uno degli appartamenti privati. È da notare inoltre che il monumento rimase conservato nelle sue strutture fondamentali fino alla tarda età imperiale. La casa, di cui rimangono due piani, appare incassata nel tufo del colle ed è composta, al livello inferiore, da un atrio su cui si aprono tre ambienti sul lato est e uno sul lato sud. Questi ambienti sono tradizionalmente definiti tablinum, alae e triclinium e conservano pregevoli affreschi databili in età augustea. L'accesso a queste sale avveniva per mezzo di un corridoio a piano inclinato e coperto a volta. Per mezzo di una stretta scaletta, posta davanti al cosiddetto triclinium, si accedeva al livello superiore: lungo la strada basolata che separa la casa di Livia da quella di Augusto sono visibili alcune stanze e locali di servizio. Sempre allo stesso livello, ma sul lato verso la Domus Flavia, è possibile osservare un cortile sul quale si aprono numerose stanzette (sotto la pavimentazione del cortile è stata rinvenuta una tomba a incinerazione del IX secolo a.C.). Si è supposto che un terzo livello superiore, oggi scomparso, dovesse costituire il piano nobile della casa e che le grandi sale decorate facessero parte di un appartamento estivo.

Le pitture che ornano i tre ambienti affacciati sull'atrio sono del secondo stile pompeiano databili intorno al 30 a.C. Questo stile è detto anche architettonico in quanto è costituito da una serie di diversi elementi di finta architettura collocati in modo da creare molteplici prospettive e altrettanti piani di realtà. L'intenzione era quella di dare apparenza ad una dimensione immaginaria, costituita da elementi concreti, in modo da annullare la superficie piana delle pareti e inventare scenari tali, che ampliassero all'infinito i limiti dell'ambiente.

Al centro di una di queste fantastiche architetture si apre una grande finestra in cui è dipinto il mito di Io e Argo. Questa scena è copia di una celebre pittura di Nicia, un artista greco del IV secolo a.C.: in essa Io, amata da Zeus, è prigioniera, sotto lo sguardo della gelosa Hera, sorvegliata da Argo armato. A liberarla giunge il dio Hermes, che spunta da dietro un'altura. Nei piccoli quadretti appaiono personaggi impegnati in scene rituali di difficile interpretazione.

Sulla parete di fondo, incorniciata da analoghe finte architetture, era raffigurato il mito di Polifemo e Galatea. Si vedeva distintamente la ninfa Galatea che, su un cavallo marino, si allontanava sfuggendo all'amore del famoso ciclope da un solo occhio, il quale la inseguiva suonando una siringa.

Il quadro centrale della parete di sinistra è inserito in una finestra conclusa da un arco e rappresenta un luogo sacro alla dea Diana o Artemide, eretto all'aperto e costituito da un portico semicircolare, su cui stanno delle statue, e da un alto betilo ornato di bende, che era il simbolo aniconico della dea.

L'ultima stanza è invece ornata da grandi finestre dipinte, intervallate da un grande colonnato, che all'altezza dei capitelli presenta una serie di riquadri a figure fantastiche alate.

Il pavimento dei tre ambienti è costituito da un semplice mosaico a tessere bianche e nere, regolarmente disposte, ed è definito ai bordi da una doppia fascia nera.

CASA DI AUGUSTO

Sulla base delle fonti letterarie e delle ricerche archeologiche è possibile affermare che tutta l'area del Palatino era completamente occupata quando Augusto, nel 36 a.C., decise di collocarvi la propria dimora: l'area sud-occidentale ospitava i templi legati alla memoria delle origini e ai trionfi militari della città, mentre sia le pendici che il pianoro, dove in seguito verranno edificate la Domus Tiberiana e la Domus Flavia, erano occupati da abitazioni di personaggi illustri come Cicerone. Augusto, dunque, acquistò alcune proprietà e le riunì in un unico complesso. In momenti diversi aggiunse altri edifici destinati ad uso pubblico quali il tempio di Apollo, il portico delle Danaidi, il sacello di Vesta, le biblioteche greca e latina. La casa di Augusto occupa uno spazio delimitato ad ovest dall'area dei santuari (tempio della Vittoria e tempio della Magna Mater), a nord dalla Domus Tiberiana, ad est dalla Domus Flavia, mentre il limite sud è costituito dalla stessa pendice del colle. L'edificio più a nord è denominato casa di Livia. Il tempio di Apollo e le biblioteche occupano la zona est. Il resto della casa si sviluppa su due terrazze poste a differenti livelli: sulla terrazza più alta, delimitata da una strada basolata che la separa dalla casa di Livia, è collocato un atrio intorno al quale si dovevano disporre gli ambienti privati più considerevoli. La terrazza più bassa ospita una parte della casa costruita ex novo in opera quadrata di tufo. Gli ambienti ad ovest, collegati per mezzo di una scala ai cubicoli del terrazzo superiore, presentano dimensioni ridotte e si dispongono lungo uno stretto corridoio centrale; gli ambienti compresi tra questi e il tempio di Apollo, di dimensioni maggiori, sono collocati intorno ad una grande aula e fronteggiano un peristilio. È probabile che le prime stanze appartengano alla parte privata della casa e le seconde alla parte pubblica, di rappresentanza. In un piccolo ambiente, splendidamente affrescato e decorato, posto all'altezza del basamento del tempio di Apollo, è stato riconosciuto lo "studiolo" privato di Augusto.

Purtroppo la spoliazione dei blocchi di tufo con i quali era costruita gran parte della casa di Augusto, avvenuta immediatamente dopo l'abbandono dell'edificio del livello inferiore e poi proseguita anche successivamente, ha provocato la distruzione di gran parte degli affreschi che ricoprivano le pareti. Quello che resta è comunque un insieme di pitture di straordinaria esecuzione, che decoravano sia il settore destinato alla zona privata sia quello destinato alla parte pubblica.

Ai pavimenti a mosaico molto semplici della prima zona, si contrappongono quelli degli ambienti di rappresentanza dove il pavimento, a tarsie marmoree, era accompagnato da soffitti con raffinate decorazioni realizzate in stucco. Purtroppo già in antico, all'epoca dell'abbandono della casa, le tarsie marmoree furono rimosse, ma hanno lasciato l'impronta nella malta cosicché il disegno pavimentale, senza i colori, è tuttora visibile e quindi ricostruibile.