L'ATLETICA NEL MONDO ROMANO

L'atletica, specialità di origine greca, non incontro mai a Roma e nel mondo romano lo stesso favore dei Munera (combattimenti fra gladiatori), delle Venationes (caccia agli animali svolta negli anfiteatri) e delle corse dei carri.

Non era inserita nel contesto educativo pubblico e rimaneva lontana dalle patrie consuetudini, poiché, nella mentalità romana, si preferiva finalizzare ogni sforzo fisico al conseguimento di risultati concreti come la guerra o le opere pubbliche. Inoltre era considerata immorale perché la nudità completa degli atleti esibita durante le gare imbarazzava il pubblico.

L'atletica, nella mentalità romana, serviva esclusivamente alla cura dell'aspetto fisico, era poco spettacolare e non aveva effetto catartico e sedativo (panem et circenses). Dopo vari tentativi sporadici, solo Domiziano riuscì a dotare Roma di un ciclo duraturo di giochi costruendo lo stadio che porta il suo nome.

Per rendere attrattiva l'atletica si puntò sulla originalità e spettacolarità delle sue esibizioni. Tra tutte le specialità, il pancrazio fu la competizione più dura e brutale del programma olimpico ed ebbe il maggior consenso popolare. Nacque per formalizzare le continue infrazioni che si verificavano durante le gare di lotta così gradite dal pubblico, ammettendo pugni, testate, morsi e altri colpi che potessero ledere gravemente l'integrità fisica dei contendenti.

Un combattimento a oltranza, combinazione tra la lotta ed il pugilato, senza esclusione di colpi, fino a torcere gli arti e slogarli, fratturare ossa e provocare il principio di soffocamento, senza però portarlo alle estreme conseguenze. Unica proibizione era l'accecamento dell'avversario. Prima di ogni combattimento gli atleti si ungevano con l'olio, come per la lotta, e si cospargevano di polvere di pomice o di sabbia, il cui scopo era quello di controllare la traspirazione eccessiva e di mantenere il corpo fresco.

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