FILIPPO LIPPI, BENOZZO GOZZOLI, MELOZZO DA FORLI' NELLA PINACOTECA VATICANA

FILIPPO LIPPI e aiuti

INCORONAZIONE DELLA VERGINE TRA ANGELI, SANTI E DONATORI, 1444

Tempera e oro su tavola, cm 170 x 95

Pinacoteca - Sala III

Come il Beato Angelico, anche Filippo Lippi era frate e pittore. A differenza dell'illustre collega, però, l'indole di Lippi era poco adatta alla vita monastica. Malgrado la fama conseguita in breve tempo e le numerose commissioni ricevute in tutta Italia, Filippo sembra essere rimasto un uomo irrequieto. Al contrario i suoi dipinti sono espressione di una intensa spiritualità.

Il trittico della Incoronazione della Vergine è stato eseguito intorno al 1444 per il convento degli Olivetani di Arezzo. Lippi ha creato un'ambientazione architettonica per unificare le tre tavole, separate dalla cornice lignea. I santi e i donatori sono posti al livello più basso, su un pavimento che si estende per tutta la base del trittico. La Vergine e Cristo, collocati in posizione rialzata, si stagliano entro una nicchia che li incornicia, sottolineando la centralità della scena rispetto a quelle nei pannelli laterali. Un alto parapetto di preziosi marmi screziati, simile a quello dei gradini, fa da sfondo all'insieme.

In omaggio all'ordine degli olivetani, tre dei santi raffigurati nel trittico sono monaci. Il primo santo a sinistra è invece Gregorio Magno che, divenuto papa nel VI secolo, aveva favorito la conversione dei Longobardi e promosso l'evangelizzazione dell'Inghilterra. Il papa è riconoscibile grazie al suo attributo, la colomba dello Spirito Santo che, vicina all'orecchio, è fonte della sua ispirazione religiosa. Le forme appaiono meno plastiche e statuarie in virtù del mutevole gioco della luce e dell'insistente fluire della linea.

Il Lippi aveva realizzato negli stessi anni una seconda versione della Incoronazione della Vergine per l'altare maggiore della chiesa di Sant'Ambrogio a Firenze. La destinazione prestigiosa dell'opera e le maggiori possibilità economiche dei committenti spiegano il risultato profondamente diverso. Mentre il trittico per i monaci di Arezzo è sobrio ed essenziale, la pala fiorentina è gioiosamente sovrabbondante di figure e di dettagli preziosi, tanto da poter essere paragonata a una scena profana.

Benozzo di Lese detto

BENOZZO GOZZOLI

MADONNA DELLA CINTOLA, PREDELLA CON STORIE DELLA VERGINE, 1450-1452

Tempera e oro su tavola, cm 214x166

Pinacoteca - Sala III

Aiuto del Ghiberti nella seconda porta del battistero di Firenze e collaboratore dell'Angelico nella decorazione delle vele nella cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto, Benozzo Gozzoli collabora una seconda volta con il pittore domenicano a Roma, quando questi fu chiamato da Niccolò V per affrescare la Cappella Niccolina. Tornato in Umbria nel 1450, Benozzo esegue un ciclo di affreschi per la Collegiata di San Fortunato a Montefalco. Sempre per San Fortunato il pittore dipinge la pala con la Madonna della Cintola, che ancora alla metà del secolo scorso si conservava sull'altare maggiore, prima di essere donata dal Comune di Montefalco al Papa Pio IX, in cambio del riconoscimento del titolo di città.

La pala è composta da una tavola centrale che rappresenta la Vergine seduta sopra le nubi e attorniata da angeli, cherubini ed un giovane santo ai suoi piedi: il tema è quello simbolico della Madonna che porge la cintola a San Tommaso. Nei pilastri ai lati della tavola sono raffigurati vari Santi Francescani, tra cui San Fortunato e San Severo protettori di Montefalco. Nella predella si ritrovano gli episodi principali della vita della Vergine: Nascita, Annunciazione, Sposalizio, Natività di Cristo, Disputa nel Tempio, Morte. Per quanto nei documenti di donazione la pala venga attribuita al Beato Angelico, è in realtà opera del Gozzoli, dal momento che l'artista, staccatosi dal maestro, prova a tradurne l'ineffabile spiritualità nei termini di un linguaggio più corsivo, allineato ai modi della contemporanea ricerca fiorentina. Benozzo reinterpreta lo stile dell'Angelico in chiave decorativa e novellistica. La narrazione religiosa si compone in forme di un pacato naturalismo che non ignora compiacimenti illustrativi ed eleganze calligrafiche aggiornate sugli esempi dell'ultimo Lippi, dimostrando un interesse verso il racconto spontaneo. Le immagini dal segno nitido acquistano una grazia infantile anche nella predella: le idee dell'Angelico perdono la loro solennità per acquistare un andamento episodico minuto e piacevole.

Melozzo degli Ambrosi detto

MELOZZO DA FORLI'

ANGELI MUSICANTI, 1480 ca.

Affresco staccato, varie dimensioni

Pinacoteca - Sala IV

Sedici frammenti divisi tra la Pinacoteca Vaticana, il Palazzo del Quirinale e il Museo del Prado, questo è ciò che resta del grande affresco della Ascensione di Cristo, l'opera che probabilmente ha segnato l'apice della produzione pittorica di Melozzo da Forlì. L'intervento decorativo era stato commissionato a Melozzo dal cardinale Giuliano della Rovere, nipote di Papa Sisto IV, nell'ambito degli ampi lavori da lui promossi per il rinnovamento della basilica dei Santi Apostoli a Roma. Purtroppo, problemi di umidità e di cattiva adesione dei colori all'intonaco causarono un rapido deterioramento dell'affresco, tanto che alcune parti risultavano poco leggibili già alla fine del Cinquecento. All'inizio del XVIII secolo, il suo stato di conservazione era assai compromesso e furono in pochi a preoccuparsi quando, una decina di anni dopo, andò quasi interamente distrutto in seguito alla ricostruzione dell'abside. Melozzo aveva dispiegato una vera e propria orchestra celeste per accompagnare l'Ascensione di Cristo e celebrare lo straordinario evento. Il gruppo doveva essere composto da una ventina di elementi, ciascuno dotato di un diverso strumento: il liuto, il tamburo, il triangolo, il mandolino e forse anche un organo portatile come era nell'uso del tempo.

Questa particolare attenzione per la musica è da ricondurre alla liturgia francescana officiata nella basilica dei Santi Apostoli: essa infatti dava ampio spazio alla musica come strumento di persuasione, commozione ed elevazione spirituale. Riordinando i frammenti che si sono conservati e rileggendo le descrizioni che ci sono pervenute, è possibile tentare una ricostruzione di massima del perduto affresco di Melozzo. La figura principale intorno alla quale era organizzata la composizione era il Cristo, che occupava una posizione di rilievo. Intorno a lui, distinti su vari livelli di nubi, erano gli angeli musicanti: più in basso, in quella che doveva essere la dimensione terrena, erano collocati gli apostoli nell'atto di rivolgere lo sguardo verso il cielo, mentre alle loro spalle si apriva un vasto paesaggio. L'insieme, con il suo ardito scorcio da sotto in su, doveva risultare di grande impatto visivo.

Melozzo degli Ambrosi detto

MELOZZO DA FORLI'

SISTO IV NOMINA BARTOLOMEO PLATINA PREFETTO DELLA BIBLIOTECA VATICANA, 1477

Affresco trasportato su tela, cm 270 x 315

Pinacoteca - Sala IV

Il soggetto dell'affresco di Melozzo viene tradizionalmente interpretato come il momento dell'elezione a bibliotecario papale dell'umanista Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, modestamente inginocchiato davanti a Sisto IV. Come è stato possibile verificare grazie alle analisi condotte sull'affresco, l'opera è stata portata a termine dall'artista in trenta giornate di lavoro nel 1477. Originariamente collocato all'interno della Biblioteca Vaticana, l'affresco è stato rimosso dalla sua collocazione, trasferito su tela, ritoccato e infine esposto nella Pinacoteca nel 1820. E' un grande ritratto di famiglia, monumentale e celebrativo, all'interno del quale ciascuno occupa il proprio posto senza interagire con gli altri, in una atmosfera di assoluto silenzio. I personaggi non sono distribuiti in modo realistico, scalato nello spazio, anzi, nessuno di loro sembra voler cedere il posto conquistato in prima fila. Le loro sagome sono esaltate dalla grandiosa fuga prospettica composta da imponenti pilastri, da alte arcate e da un preziosissimo soffitto a cassettoni dipinto in azzurro e oro. La colonna di fondo fa da spartiacque tra i laici a sinistra e gli ecclesiastici a destra. I primi portano i capelli lunghi, abiti bordati di pelliccia e dai colori eleganti; i secondi sono contraddistinti dalla tonsura e da abiti più semplici. Pur senza essere al centro della composizione, il ritratto di Sisto IV costituisce il fulcro dell'intera scena: grazie a lui la costruzione della Biblioteca Vaticana e molte altre imprese furono condotte a termine, come recita l'iscrizione elogiativa sottostante. Oltre a Sisto IV, compaiono nell'affresco altri due membri della famiglia Della Rovere: al centro, in piedi si erge l'imponente figura del cardinale Giuliano, il nipote del papa che salirà al soglio pontificio con il nome di Giulio II; il secondo personaggio da sinistra è invece Giovanni, fratello di Giuliano.