IL SIFONE ROVESCIO

Nei casi in cui lungo il tracciato degli acquedotti vi fossero valli molto profonde, o molto ampie, e tali comunque che il loro attraversamento con canali su arcate fosse economicamente o tecnicamente proibitivo, i tecnici ricorrevano ai sifoni rovesci.

Questi erano basati sul principio dei vasi comunicanti: l'acqua passava dal canale adduttore ad un serbatoio di monte e, tramite tubi, scendeva con forte inclinazione verso valle, quindi, dopo un tratto in piano (ventre del sifone), risaliva sulla sponda opposta ed entrava in un altro serbatoio per poi scorrere di nuovo nel canale. Anche questa tecnica i romani l'hanno appresa dalla cultura ellenistica. Vitruvio descrive molto bene i criteri di realizzazione e fornisce utili informazioni ai costruttori.

In effetti, la realizzazione e la manutenzione di un sifone rovescio comporta rischi seri e problemi di non facile soluzione. Nella parte più bassa si raggiungono pressioni notevoli, proporzionali all'altezza del salto di quota che si vuole superare. Malgrado tale difficoltà i romani hanno realizzato numerosissimi sifoni rovesci: ad esempio ad Alatri, a Lione dove, lungo i 4 acquedotti che la alimentavano, si contano ben 8 sifoni, a Smirne, Efeso, e a Pergamo. Molti altri acquedotti sono provvisti di sifoni, ma soprattutto, hanno utilizzato tale tecnica per la distribuzione dell'acqua nei centri abitati.

Nei sifoni rovesci degli acquedotti, per contrastare la pressione dell'acqua, il flusso proveniente dal canale discendeva e poi risaliva suddiviso in più tubazioni e queste, di diametro non grande, venivano immerse nel calcestruzzo (opus caementicium). In corrispondenza del ventre, o lungo i pendii, quando le tubazioni non erano affogate nel calcestruzzo, i punti più fragili delle tubazioni (generalmente le giunture in piombo tra i vari spezzoni) erano inseriti in blocchi di pietra squadrati e forati e, tra tubi e pietra, veniva colata della malta. In tal modo non solo si proteggevano le giunzioni ma si appesantiva l'insieme della condotta in corrispondenza del ventre. Con questi accorgimenti furono realizzati sifoni che potevano sopportare una pressione enorme: ad Alatri il salto è di 100 m, a Pergamo il salto supera i 190 m. Per la distribuzione dell'acqua in città si può citare il Palatino a Roma che era alimentato da un sifone rovescio, collegato alle arcate neroniane del Celio, il cui ventre era poggiato sugli archi ancora osservabili in via di San Gregorio.

Ma gli impianti di tutte le grandi e piccole città muniti di acquedotto e serbatoio terminale funzionavano con sifoni rovesci. Ancora oggi gli acquedotti moderni funzionano con lo stesso criterio. L'acqua arriva ad un serbatoio, o a più serbatoi che consentono un accumulo d'acqua durante la notte, quando i consumi sono più bassi, per aumentare la distribuzione durante il giorno.