LA TECNICA DI ESECUZIONE DELLE TOMBE ETRUSCHE DIPINTE

La tecnica di esecuzione dei dipinti fornisce indicazioni sulla cronologia della pittura: soltanto nel periodo delle origini, nel VII secolo a.C., le pareti tufacee, spianate con il piccone e talvolta levigate con l'ausilio di pietre tenere ripetutamente strofinate sulla superficie, vengono decorate senza una stesura preventiva di intonaco, ma in modo diretto, come le pitture rupestri preistoriche, o al più su uno scialbo biancastro a base di calce. I contorni del disegno, tracciato in precedenza con linee incise o dipinte, venivano riempiti di colore, distribuito in maniera uniforme, senza sfumature, limitatamente ai toni del rosso, giallo, bianco e nero. I pigmenti coloranti, ottenuti da ossidi e idrossidi ferrosi (rosso e giallo), dalla calce o dal caolino (bianco), da carbone o da ossa combuste (nero), sono dati puri o disciolti in argilla finissima, con una tecnica che ricorda da vicino quella delle pitture rupestri preistoriche.

A partire dalla seconda metà del VI secolo a.C. l'arrivo in Etruria di artigiani greco-orientali introduce cambiamenti anche nella tecnica di esecuzione. Le pareti accuratamente levigate vengono coperte da uno strato di intonaco spesso da 1 a 3 mm, formato da argilla mista a polvere della roccia nella quale sono scavate le camere funerarie (che varia quindi da sito a sito: a Tarquinia è molto diffuso il macco di origine calcarea). Questa preparazione, che poteva essere arricchita con sostanze particolari destinate a ostacolare l'essiccazione, era coperta da uno scialbo uniforme di calce, di colore chiaro, che costituiva lo sfondo delle pitture. La reazione chimica provocata dal contatto della calce con la sostanza umida di base favoriva la formazione di una pellicola di carbonato di calce, che fissava la policromia, secondo la tecnica caratteristica della pittura a fresco: grazie all'elevato tasso di umidità delle camere ipogee la parete non si asciugava mai nel corso dell'esecuzione dei dipinti.

Questa operazione, a giudicare dalle colature visibili in molte tombe, veniva compiuta in poco tempo, quasi in fretta, non senza pentimenti e correzioni, notati tanto nei dettagli quanto nell'articolazione del numero dei personaggi di molte scene: numerosi profili mostrano a luce radente contorni incisi con una punta nell'intonaco molle, ma trascurati nella stesura finale del colore. Soltanto sui soffitti, decorati da motivi geometrici poco impegnativi, si dipingeva in genere senza intonaco.

Le singole figure venivano tracciate con modelli di riferimento tratti da fonti diverse, che spesso provocavano sproporzioni tra i protagonisti di scene figurate. Nel corso del tempo la tavolozza si era arricchita del verde e di colori complementari, che sfumano i toni base: in alcune tombe viene anche utilizzato l'azzurro, quale unico colore di origine non naturale, ottenuto da un composto artificiale, la c.d. "fritta egiziana".

Tale consolidata tecnica di esecuzione viene applicata sino al IV secolo a.C.: a partire da quest'epoca le pareti vengono ricoperte da un intonaco di maggiore consistenza, nel quale sono stati riconosciuti sino a tre strati sovrapposti, costituiti da una preparazione a base di tufo pozzolanico, da un arriccio di sabbia silicea e calce e da uno strato superficiale di calce carbonata con inclusi di colore e sabbia. L'innovazione risponde all'esigenza di conferire maggiore rendimento plastico alle figure, esaltate anche dall'adozione del chiaroscuro e di una linea di contorno a larghi tratti.

(da A. Naso, La Pittura Etrusca, Roma 2005, pp. 64-65)