LO SCRIGNO DEL RINASCIMENTO: LA CAPPELLA SISTINA E LE SUE MERAVIGLIE

Lo scrigno più prezioso dell'arte rinascimentale ha una storia lunga e movimentata. Nel Medioevo era semplicemente la Cappella Palatina, cioè la cappella del Palazzo Apostolico. Più piccola della attuale Sistina, ma più o meno con le stesse funzioni: luogo di culto in cui la corte papale si riuniva regolarmente per le cerimonie più importanti, in primis le incoronazioni del vicario di Cristo. Qui venivano ricevuti ambasciatori e ospiti di riguardo e qui si teneva il conclave per l'elezione del Pontefice. Stava andando in rovina quando Papa Sisto IV della Rovere (dal quale deriva il nome di Cappella "Sistina") decise di ricostruirla e ampliarla nell'ambito di un ambizioso piano di riedificazione e abbellimento di Roma.

I lavori, affidati all'architetto Baccio Pontelli, iniziarono nel 1477. Le dimensioni ricalcavano quelle del tempio di Salomone a Gerusalemme: lunghezza (circa 41 metri) tripla dell'altezza (13,5 metri) e doppia della larghezza (20 metri). Pontelli, che era un architetto militare, la concepì esternamente come una fortezza mantenendo le vecchie fondazioni e le basi dei muri, spesse tre metri, dato che Sisto IV voleva stare al sicuro all'interno dei sacri palazzi. Sopra la volta, alla quale un quarto di secolo dopo avrebbe messo mano Michelangelo, furono ricavati camminamenti e alloggi per le sentinelle e feritoie per gli archibugieri.

Sisto IV aveva guerreggiato con Firenze e si era poi rappacificato con i Medici. Nel 1480, quando ormai l'edificio era completato, Lorenzo il Magnifico, in segno di riconciliazione, radunò i migliori artisti fiorentini e li inviò dall'ex nemico affinché affrescassero le pareti della sua cappella. La squadra era diretta dal Perugino e comprendeva Sandro Botticelli, Cosimo Rosselli, Domenico Ghirlandaio e gli aiuti di Pinturicchio, Piero di Cosimo, Biagio d'Antonio e Bartolomeo della Gatta. Al Perugino subentrò in un secondo tempo Luca Signorelli. La decorazione stabiliva un parallelo tra la storia di Mosè e quella di Gesù. I sei riquadri intermedi della parete nord (episodi della vita di Cristo) dialogavano infatti con i corrispondenti riquadri della parete sud, postulando una continuità tra Vecchio e Nuovo Testamento e tra le gesta del liberatore-legislatore del popolo ebraico, le vicende del Messia e quelle dei suoi successori.

Chiare allusioni al passaggio finale di testimone erano la scena della Consegna delle Chiavi, affrescata dal Perugino, e la contrapposta Punizione di Core, Datan e Abiram, opera di Botticelli. Nella prima è raffigurato il passaggio di poteri da Cristo a San Pietro; nell'altra, il castigo che punisce chi si oppone alla autorità del Papa. Regni della Grazia e della Legge convergono nel legittimare il primato del Pontefice, magnificato, nel fregio superiore, dalle effigi dei primi 32 successori di Pietro.

Sulla parete dell'altare, il Perugino dipinse tre scene poi distrutte, tra cui una Assunzione della Vergine. La Cappella era infatti dedicata all'Assunta e venne inaugurata nel giorno della sua festa, il 15 agosto dell'anno 1483. La volta rappresentava un cielo stellato ed era opera di Pier Matteo d'Amelia. Ventuno anni dopo si verificò un cedimento del terreno sotto l'edificio. La parete meridionale iniziò a inclinarsi e nel soffitto si aprì una crepa che compromise l'affresco. L'edificio venne chiuso. Giuliano da Sangallo lo stabilizzò poi con l'inserimento di catene e sbarre tanto nella volta che nel pavimento e con tamponamenti murari (mattoni e stucco) nel soffitto. In occasione di questo restauro vennero eliminati gli alloggi delle guardie.

La Sistina riaprì i battenti nell'autunno del 1504. Non più pericolante, ma con la volta deturpata da una lunga cicatrice bianca. Come rimediare? Papa Giulio II della Rovere, nipote di Sisto IV, che già gli aveva commissionato la propria tomba e una grandiosa statua equestre a Bologna, puntò su Michelangelo, benché quest'ultimo fosse totalmente digiuno dell'arte di affrescare e avesse dipinto un solo quadro fino a quel momento, il Tondo Doni.

UNA IMPRESA DA RECORD. il genio toscano scorgeva dietro la proposta un complotto del suo rivale Bramante, progettista vincente del rifacimento della Basilica di San Pietro e nuovo architetto ufficiale del Vaticano, per oscurarlo. L'impegno della Sistina gli avrebbe impedito di terminare la tomba di Papa Giulio II, ossia l'impresa che a suo parere l'avrebbe consacrato supremo artista di ogni tempo, oppure l'avrebbe indotto al rifiuto per manifesta inadeguatezza. Michelangelo accettò, più che per indispettire il rivale, per compiacere il committente, più testardo di lui, e soprattutto per accaparrarsi l'ingente somma in palio: 3000 ducati d'oro. Da cui però avrebbe dovuto defalcare le spese per i materiali, i ponteggi e gli assistenti. Il 10 maggio 1508 Michelangelo firmò il contratto per l'affresco. Doveva coprire di colore e figure (343 in totale) 1100 metri quadrati di superficie, in parte curva: la intera volta più 8 vele, 4 pennacchi e le lunette sopra le finestre: l'affresco più grande mai dipinto. Non aveva mai sperimentato la pittura a fresco né la cosiddetta rappresentazione in scorcio, specie quella "di sotto in su" pressoché inevitabile in un soffitto. Imparò alla svelta, con fatiche e dolori. Ideò lui stesso il ponteggio: una immensa pedana mobile non appesa a catene ma sospesa, poggiante su puntoni laterali detti "sorgozzoni", come la arcata di un ponte. Messe e cerimonie continuavano a svolgersi regolarmente sotto la piattaforma. Falso che l'artista dipingesse sdraiato: semmai, piegato spesso all'indietro. Giulio II avrebbe voluto che raffigurasse i dodici apostoli sopra le finestre e arabescasse il resto della volta con motivi geometrici. Michelangelo si oppose: obiettò che ne sarebbe venuta fuori una cosa ben povera. In alternativa propose ed ottenne, sotto la supervisione di Egidio da Viterbo e di altri teologi vaticani, di decorare pennacchi, lunette e vele con figure di Profeti, Sibille e Antenati di Cristo che ne avevano annunciato e preparato l'avvento. Con ciò avvalorando un collegamento ininterrotto tra tradizione pagana e cultura cristiana caro alla sensibilità umanista.

TUTTO DA RIFARE. Sulla volta nove scene tratte dal Libro della Genesi. Iniziò dal Diluvio. Lui e i suoi aiutanti non erano pratici dei materiali locali impiegati per l'intonaco (pozzolana e travertino) e combinarono un disastro. Il Diluvio si degradò velocemente: dovettero demolirlo e rifare tutto. Andarono perse 29 giornate di lavoro! Fu un momento di crisi nera per il Buonarroti, preoccupato anche dell'ascesa del rivale Raffaello, appena chiamato ad affrescare, con illustri colleghi, l'appartamento papale al piano di sotto. Ma si riprese e, dalla quarta scena in poi, limitati al minimo gli interventi degli aiuti, accelerò i suoi ritmi acquistando una sicurezza sbalorditiva e facendo quasi tutto da solo. Ingrandì le figure per accelerare i tempi e si concesse virtuosistiche prospettive in scorcio, come il Dio che separa la luce dalle tenebre, dipinto in una sola giornata. Tale era la sua padronanza, che alla fine disegnava direttamente sull'intonaco, senza più i cartoni preparatori.

La scena della Creazione dell'Uomo, con gli indici di Dio e Adamo che si toccano, era una sua invenzione, ma folgorò più i posteri (a metà '700 il pittore inglese Joshua Reynolds definì l'affresco "lingua degli dei") che i suoi contemporanei. Tant'è vero che, quando nel 1565 si dovette intervenire sull'affresco per alcune crepe, il compito di ritoccare la mano del primo uomo fu affidato ad un mestierante, Domenico Carnevale. Fu chiaro però, fin dallo scoprimento (31 ottobre 1512), che la volta costituiva un'ineguagliabile rivoluzione artistica, iconografica e prospettica. Michelangelo era riuscito a trasferire nella bidimensionalità della pittura tutta la potenza ed il vigore della sua scultura e a capovolgere il rapporto tra architettura e pittura, in favore della seconda. La fisicità dell'uomo risultava incontrastata protagonista della sua narrazione policentrica. Minimizzati paesaggi e simboli sacri, mai tanti nudi e tante donne avevano popolato un affresco di carattere religioso. Mai si erano visti accostamenti cromatici così audaci, incisivi, venati di intellettualismo e lontani da ogni verosimiglianza naturalistica.

AVVICENDAMENTI. Raffaello comprese subito che era una svolta capitale per la pittura e vi si allineò già mentre affrescava la Cacciata di Eliodoro nelle camere del Papa. Michelangelo aveva speso 4 anni e un mese nell'impresa. Ne usciva stremato e con la vista compromessa. Al netto delle spese, gli rimanevano in tasca 300 ducati per anno, il triplo dei guadagni di un medio artigiano fiorentino. Il successore di Giulio II, Leone X Medici, commissionò a Raffaello una serie di arazzi con cui ornare la Cappella Sistina nelle occasioni più solenni. L'astro di Urbino scomparve subito dopo, nel 1520, e Michelangelo rimase padrone della scena. Clemente VII successore di Leone X, altro papa Medici, lo richiamò nel 1534, ad affrescare il Giudizio Universale sulla parete dell'altare da cui aveva fatto rimuovere gli affreschi del Perugino. Dopo la morte del Papa, l'incarico fu riconfermato da Paolo III Farnese.

Michelangelo iniziò la nuova estenuante impresa nell'estate del 1536 e la concluse cinque anni dopo. Fece tutto da solo, avvalendosi di un unico aiutante per miscelare i colori. Il Buonarroti ideò un drammatico turbinare di corpi (400 figure) in cui nemmeno gli angeli e i santi riposano. Aboliti aulici cori, troni celesti, ali eteree ed aureole: una mischia collettiva, un vortice cupo che rispecchiava il travaglio delle coscienze dopo la Riforma, la mancanza di certezze, specie quella della mediazione salvifica della Chiesa ora messa pericolosamente in dubbio.

Immediate furono le accuse di oscenità da parte dell'ala intransigente del clero dopo l'inaugurazione in giorno di Ognissanti del 1541. A scandalizzare era la nudità dei santi che affiancano il Cristo nel Giudizio Universale. L'artista (che si ritrasse nella pelle di San Bartolomeo) fu assimilato agli eretici, anche se aveva concepito l'opera ben prima di avvicinarsi agli spirituali di Vittoria Colonna, vittime dopo il 1542 della Inquisizione.

Il cardinale Carafa, vincitore del Concilio Tridentino e futuro papa Paolo IV, perorò addirittura la distruzione del capolavoro. Dopo un lungo dibattito si giunse nel 1565 a una soluzione di compromesso: furono censurati i nudi e a coprire le pudenda provvide, ironia della sorte, un seguace del Buonarroti, Daniele da Volterra, passato per questo alla storia come "il Braghettone".

Per informazioni e prenotazioni sulla visita guidata della Cappella Sistina in Vaticano per le scuole, scrivere una mail a inforomabella@virgilio.it oppure compilare il form sopra.