PIAZZA SAN PIETRO E IL TRASPORTO DELL'OBELISCO VATICANO SOTTO PAPA SISTO V NEL 1586

Simbolo della cristianità nel mondo, Piazza San Pietro deve il suo aspetto attuale a Gian Lorenzo Bernini, la cui immaginazione diede vita alla grandiosità del monumentale colonnato ovale, formato da 284 colonne, 88 pilastri di travertino e 140 statue sulla balaustra. Al centro, svetta l'obelisco che Caligola portò da Alessandria d'Egitto e che fece collocare sulla spina del Circo "in agro vaticano" dove avvenne il martirio di San Pietro. Accanto al Circo in epoca classica si trovava un cimitero dove subito dopo il martirio fu sepolto il Principe degli Apostoli.

Si può osservare che la superficie della piazza non è pianeggiante: essa segue un dislivello naturale, che ha permesso di lasciare al suo posto l'obelisco, collocato in quel punto nel 1586, senza dover interrare il basamento. Il risultato è una piazza leggermente concava, che permette però alla folla di vedere se stessa come in una cavea teatrale.

Quello vaticano è l'unico obelisco di Roma che non sia mai caduto, anche se ci è andato molto vicino! Sorgeva sulla spina del Circo di Caligola, dunque più tardi si trovò ad essere sul fianco sinistro della basilica, ma papa Sisto V lo volle al centro della Piazza per dargli maggiore visibilità. Incaricò del trasporto l'architetto Domenico Fontana che nell'estate del 1586 impiegò 4 mesi per compiere l'opera.

Per poter effettuare al meglio le complicate manovre di innalzamento, il papa impose regole a dir poco ferree: come racconta lo stesso architetto, "sarebbe stato punito con la morte chiunque avesse oltrepassato il limite della zona dei lavori o avesse fatto il più piccolo rumore". Non esattamente una agevolazione per i 900 uomini (e i 140 cavalli!) alle prese con 327 tonnellate di granito.

Verso la fine dei lavori, quando già l'obelisco era in posizione verticale, accadde l'imprevisto: i canapi con cui era legato cominciarono a scivolare. Nello sbigottimento generale, quando tutto sembrava perduto, una voce si levò dalla piazza: "acqua alle corde!!!". A lanciare l'urlo era stato un marinaio ligure, tale Giovanni Bresca. Subito furono seguite le sue indicazioni: le corde bagnate si restrinsero e l'operazione fu condotta a termine. Il marinaio non fu giustiziato, ma dovette chiedere la grazia al papa... dopodiché, chiese ed ottenne che fosse la sua famiglia a rifornire il Vaticano dei rami di palma per le cerimonie che precedono la Pasqua. Per secoli Bordighera, la sua città di origine, si occupò di far arrivare i "parmoreli" a Roma, e l'importanza e la considerazione che era riservata a questo privilegio assunse anche connotati curiosi: quando l'imbarcazione che trasportava i rami di palma giungeva alla foce del Tevere, innalzava un "parmorelo" sul suo albero maestro. Questo vessillo dava alla barca ligure il diritto di precedenza su tutte le altre, consentendo alle foglie di palma di raggiungere il più celermente possibile in Vaticano al fine di non appassire. Incredibilmente, le frasche pasquali provengono da Bordighera ancora oggi.

Sul basamento dell'obelisco si può leggere: Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat, Christus ab omni malo plebem suam defendat (Cristo vittorioso, Cristo Re, Cristo Imperatore, difenda Cristo il suo popolo da ogni male). Si tratta di una formula esorcistica e insieme propiziatoria che nel Medioevo veniva usata per scongiurare le malattie. La guglia di granito rosa, alta 25 metri, è sospesa dal basamento perché poggiata sopra il dorso di quattro leoni, simbolo araldico di Sisto V; leggenda vuole che chiunque passi nello spazio tra il basamento e la sua recinzione, avrà perdonato ogni peccato.

Sulla cima dell'obelisco sarebbero state conservate, in un globo di bronzo laminato in oro, le ceneri di Giulio Cesare. La secolare leggenda racconta che i resti di Cesare avessero sostituito nientedimeno quelli del Re Salomone! Di fatto, la credenza che la guglia dell'obelisco fosse l'ultima dimora di Cesare contribuì a preservarla dai Goti di Totila, che misero a ferro e fuoco la città ma risparmiarono l'obelisco in ossequio al grande condottiero romano. Solo i Lanzichenecchi, nel 1527, pur lasciando intatto il monolite, si divertirono a prendere di mira il globo con i loro archibugi. Da subito circolò la voce che, avendo forato il globo, lo spirito di Giulio Cesare era stato liberato; e da allora può essere visto, a notte fonda, vagare per la piazza sul suo cavallo bianco, cercando con rabbia la pace eterna.

La grande sfera fu rimossa nel 1585, l'anno precedente a quello dello spostamento dell'obelisco, e oggi si trova esposta nei Musei Capitolini.

Sulla scelta del globo d'oro quale ultima dimora per le ceneri di Cesare esiste un'altra leggenda, risalente al Medioevo, che tira in ballo il poeta Virgilio nella veste di mago.

Virgilio si trovava a Gerusalemme, in un tempo in cui l'imperatore Augusto lo aveva incaricato di trovare una degna sepoltura per il condottiero. Giunto al cospetto dell'altissimo obelisco, non poté fare a meno di notarvi la sfera dorata che riluceva al sole. "A cosa serve?" chiese ad alcuni Ebrei che si trovavano accanto a lui. Fu così che gli venne spiegato che quella guglia era stata fatta erigere da Salomone in persona, e che egli stesso aveva disposto che nella sfera fossero conservate le sue ossa.

"Ecco la tomba degna di Cesare!" pensò il mago Virgilio. E recatosi dai capi della comunità li minacciò di consegnare l'obelisco perché fosse trasportato a Roma, pena la distruzione della città da parte dell'esercito romano. Gli Ebrei non poterono rifiutare, ma chiesero in cambio della perdita dell'obelisco mille denari per ogni giorno di viaggio del monolite verso Roma.

Virgilio accettò. Ma la notte stessa, recatosi davanti all'obelisco, con un potente incantesimo ordinò ai venti di sollevarlo e di trasportarlo velocemente a Roma. Fu così che, viaggiando in una sola notte, per l'obelisco non fu versato nemmeno il prezzo di un giorno di trasporto.

(tratto da A.Toso Fei, Misteri di Roma, Venezia 2012, p. 230).