IL CONTESTO STORICO: L'ATTENTATO DI VIA RASELLA E LA RAPPRESAGLIA TEDESCA

Il 23 marzo 1944 fu compiuta una azione di guerra partigiana contro l'11ª compagnia del III battaglione del Polizeiregiment "Bozen" in via Rasella, nel centro di Roma. Per compiere l'attentato fu utilizzato un ordigno a miccia nascosto in un carretto della spazzatura, contenente 18 kg di esplosivo misto a frammenti di ferro. Al passaggio del battaglione, dopo l'esplosione furono anche lanciate alcune bombe a mano dai tetti delle case. Morirono 33 soldati tedeschi e due ignari civili italiani, uno dei quali era un ragazzo di 13 anni.

Il colonnello Dollmann fu il primo a proporre una immediata rappresaglia. Il generale Mälzer avvertì immediatamente il comando supremo tedesco, ma non riuscì a parlare subito con il feldmaresciallo Kesselring, che si trovava in quel momento a Anzio. Hitler fu avvisato nel primo pomeriggio e ordinò una rappresaglia nella misura di 40 italiani per ogni soldato ucciso.

Il generale von Mackensen stabilì, dopo essersi consultato con il colonnello Kappler, che fosse sufficiente uccidere 10 italiani per ogni tedesco morto; inoltre ordinò che le vittime della rappresaglia avrebbero dovuto essere detenuti già condannati a morte o all'ergastolo.

Il feldmaresciallo Kesselring nel processo di Norimberga chiarì che non venne attivata alcuna procedura per richiedere la consegna degli attentatori, che non venne emesso alcun avviso pubblico nonostante lo prevedessero le leggi di guerra e che non fu presentata alcuna richiesta ai partigiani di consegnarsi per evitare la rappresaglia. Principale preoccupazione delle autorità tedesche fu invece la necessità di eseguire la vendetta con la massima rapidità e segretezza, entro 24 ore dall'attentato.

Il colonnello Kappler decise di richiedere la collaborazione del questore Caruso, il quale promise di fornire una lista di almeno 50 detenuti da inserire nell'elenco dei "Todeskandidaten". Il lavoro di ricerca delle vittime da parte degli ufficiali tedeschi, diretto personalmente dal colonnello Kappler e dal suo aiutante capitano Erich Priebke, durò tutta la notte tra il 23 e il 24 marzo.

Vennero inclusi subito anche 57 ebrei già in precedenza imprigionati e destinati alla deportazione, ai quali si aggiunsero altri 8 antifascisti di religione ebraica. Dopo essersi recato alla caserma del Viminale, Kappler individuò altri 10 nominativi, ritenuti dalla polizia italiana "noti comunisti", fermati casualmente nella zona di Via Rasella subito dopo l'attentato.

Il generale Mälzer decise di assegnare direttamente al colonnello Kappler e ai suoi uomini l'esecuzione delle fucilazioni. Ordinò inoltre che il capo della Gestapo a Roma avrebbe dovuto partecipare personalmente alle uccisioni per dare l'esempio.

Il colonnello Kappler disponeva per l'operazione in tutto di 74 uomini tra ufficiali, sottufficiali e soldati semplici. Si decise di effettuare l'eccidio di massa in alcune cave di pozzolana abbandonate in via Ardeatina, facilmente occultabili dopo il massacro con la dinamite. Le operazioni dovevano essere dirette dal capitano Carl Schütz, il capitano Priebke doveva invece controllare man mano la lista per verificare l'avvenuta fucilazione e che si impiegasse non più di un minuto per ogni uomo.

Alle ore 15.30 iniziarono le fucilazioni.

I condannati venivano condotti nelle gallerie in 5 alla volta; all'entrata il capitano Priebke chiedeva il nome al condannato e lo verificava sulla lista; quindi le vittime venivano fatte inginocchiare, e gli esecutori sparavano un colpo di pistola alla nuca. Il colonnello Kappler prese parte al secondo turno di fucilazione; il capitano Priebke invece sparò personalmente con il terzo turno.

Nel corso dell'esecuzione, il capitano Priebke aveva controllato scrupolosamente la lista. Al termine si rese conto che erano presenti, a causa della estrema fretta dell'azione finale di rastrellamento dei 50 condannati a morte provenienti da Regina Coeli forniti dal questore Caruso, cinque vittime in più rispetto al numero previsto: in totale i morti furono, per errore, 335 invece di 330.

Al termine delle esecuzioni i tedeschi fecero esplodere le cariche per chiudere l'ingresso delle gallerie. Le esplosioni furono udite da alcuni Padri Salesiani presenti nelle vicinanze. Essi avevano visto durante l'intero pomeriggio il continuo andirivieni di camion tedeschi. Di notte approfittarono per entrare nelle cave per vedere cosa fosse successo e si trovarono di fronte uno scenario apocalittico: all'interno delle gallerie i cadaveri, dilaniati dalle esplosioni e semisepolti,  formavano mucchi alti oltre 2 metri.

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