IL FORO DI VESPASIANO O FORO DELLA PACE

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Nel 70-75 d.C., a conclusione delle guerre civili per la successione all'impero e della sanguinosa repressione della rivolta giudaica, l'imperatore Vespasiano (69-79 d.C.) fece costruire un santuario dedicato alla Pace, detto in antico Templum Pacis o Forum Pacis, costituito da una grande piazza con portici. Al centro del portico meridionale era l'aula di culto, affiancata da due aule per lato. Il complesso entrò a far parte dei cinque fori imperiali, il terzo in ordine cronologico dopo i fori di Cesare, di Augusto, e prima di quelli di Nerva e di Traiano. Si differenziava però profondamente da questi complessi per le sue funzioni. Gli altri fori imperiali erano, infatti, principalmente luoghi di amministrazione della giustizia, dei veri e propri tribunali, oltre che sede di biblioteche e archivi pubblici. Il foro della pace era invece caratterizzato, oltre che dal tempio, dalla presenza di una ricca collezione di sculture e dipinti che, insieme ad una famosa biblioteca letteraria e scientifica, la "Bibliotheca Pacis", ne faceva una sorta di polo culturale e di contenitore delle opere dell'ingegno umano. In un'aula vicino a quella di culto era anche conservata la Forma Urbis Romae, la grande pianta marmorea di Roma antica, larga 13 m e alta 18 m, realizzata nel 209 d.C. all'epoca di Settimio Severo. La parete su cui la pianta era affissa corrisponde all'odierna facciata della basilica dei santi Cosma e Damiano.

Nel 1998-2000 la Soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali ha realizzato dei grandi scavi archeologici che hanno rimesso in luce il settore nord-ovest dell'antica piazza, sul quale si affacciava un sontuoso portico, sorretto da colonne di granito rosa di Assuan e coperto da un tetto di tegole e coppi in marmo bianco. Il ritrovamento di numerosi spezzoni di colonne in marmo rosa di Assuan ha permesso di realizzare la ricostruzione ovvero la "anastilosi" di sette di queste colonne, compiuta nel corso del 2015. L'area del foro attualmente visibile è stata infatti scoperta grazie agli scavi realizzati dalla Soprintendenza Capitolina, che hanno portato all'individuazione di molti dei frammenti nell'originaria posizione di crollo, avvenuto durante il Medioevo. Questi dati, uniti al rilievo tridimensionale dei reperti mediante laser scanner e alla loro analisi mineralogica, hanno fornito la documentazione necessaria all'esatta ricomposizione dei fusti e alla ricostruzione delle basi, delle quali sono stati rinvenuti solo pochi frammenti, originariamente in marmo bianco. Le colonne, alte circa 7 metri, sono state poggiate su un isolatore sismico incorporato nella base che, mediante un tirante in acciaio, collega gli spezzoni di colonna consolidati con cerchiatura in titanio, in presenza di lesioni subverticali. Le lacune delle parti originali sono state colmate grazie a integrazioni con una selezione di inerti granitici di colorazione compatibile. La finalità del progetto è stata quella di restituire allo spettatore la visione dell'originario fronte colonnato dei portici, il cui ordine corinzio è rappresentato dall'unico capitello superstite, visibile dietro le colonne. L'intervento ha rispettato i criteri correnti del restauro moderno: riconoscibilità e reversibilità.