LE TECNICHE DI REALIZZAZIONE DEGLI ACQUEDOTTI ROMANI

Per trasferire l'acqua da un'opera di presa alla città, il flusso era immesso in canali sostenuti da arcate o ricavati in sotterraneo. Il canale, e le opere di sostegno, erano perfettamente calcolati per garantire il sistema gravitario, permettere cioè che l'acqua scendesse, con pendenza più o meno costante, dalla captazione al serbatoio terminale. Mantenere la pendenza costante, o comunque garantire, entro determinati valori, che l'acqua scendesse costantemente verso le utenze, era compito precipuo degli ingegneri, che controllavano in continuazione che i lavori venissero eseguiti secondo le previsioni progettuali. La pendenza non poteva essere infatti né troppo bassa, in quanto non garantiva un flusso copioso d'acqua e faceva aumentare le incrostazioni calcaree nel canale, né troppo elevata, in quanto determinava una velocità troppo alta dell'acqua con rischi per le strutture.

Laddove, durante l'esecuzione dei lavori, ci fossero stati degli errori, vi si poneva rimedio aumentando o diminuendo lo spessore della particolare malta impermeabile che veniva posta sul fondo e sulle pareti del canale. Si tratta del cocciopesto, malta realizzata con una miscela di calce, sabbia, o pozzolana, minuti frammenti di mattoni o tegole e, forse, un collante vegetale (latte di fico). Il canale, realizzato in muratura, con copertura per proteggere l'acqua dagli agenti atmosferici, dai materiali trasportati dal vento e dagli uccelli, era reso impermeabile per impedire che l'acqua potesse infiltrarsi direttamente a contatto con la muratura, che veniva così salvaguardata dai danni dell'umidità.

Per mantenere costante la pendenza e per gli allineamenti, si usavano particolari strumenti topografici che, pur essendo molto semplici, consentivano l'esecuzione di rilievi e progetti di estrema complessità e precisione. Si trattava di livelle ad acqua (corobate) e di strumenti da traguardo (groma). Uno strumento più preciso, la dioptra, di invenzione ellenistica, sembra sia stato usato meno per la sua complessità.

Gli stessi strumenti erano utilizzati per lo scavo in galleria, scavo che comportava per gli ingegneri cinque problemi principali: 1) entrare ed uscire dei rilievi montuosi, che venivano attraversati dalla galleria, esattamente nei punti previsti dal progetto; 2) mantenere l'allineamento lungo lo scavo per raggiungere il previsto punto di uscita della galleria; 3) uscire dalla galleria alle quote previste in progetto per mantenere inalterata la pendenza; 4) evacuare in continuazione i materiali di risulta dello scavo; 5) mantenere un minimo di aerazione nella galleria durante i lavori.

Con la groma e la corobate si poteva stabilire la quota relativa dell'entrata e dell'uscita della galleria in modo da garantire che i due imbocchi fossero sfalsati in quota solo di quel tanto che era stato previsto dal progetto per mantenere la pendenza del flusso. Per l'allineamento durante lo scavo della galleria, onde evitare pericolose deviazioni, lo scavo stesso aveva un tracciato serpentiforme in modo che una luce posta alle spalle degli scavatori fosse sempre appena visibile tangenzialmente alle curve delle pareti delle gallerie. Lungo il tracciato venivano poi scavati dei pozzi, che raggiungevano la quota del piano di camminamento della galleria al fine di fornire punti di riferimento, prese d'aria e aperture per la progressiva eliminazione dei materiali di risulta dello scavo.

Malgrado questi accorgimenti, dato che spesso le gallerie venivano scavate partendo simultaneamente dai due imbocchi, percorrendo le gallerie romane si sono a volte osservati errori di allineamento o di quota con bruschi salti e correzioni di asse. Un'epigrafe del II secolo d.C. ci riferisce di un grave errore commesso durante la costruzione di una galleria in Algeria, per cui le due squadre di scavatori non si incontravano e dovette intervenire un tecnico specializzato che mostrò grande abilità nel risolvere il problema.

SCIENZA IDRAULICA E GENIALITA' COSTRUTTIVA DEL POPOLO ROMANO

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