LA "MANO FANTASMA" DI COSTANZA DE CUPIS A PIAZZA NAVONA

Dietro una delle finestre di palazzo De Cupis presso Piazza Navona, nelle notti di luna piena, l'ombra bianca di una bellissima mano femminile può essere intravista, accarezzata dalla luce notturna, aleggiare dietro i vetri. È la mano di Costanza De Cupis, la cui tragica fine ritorna a far parlare di sé ad ogni spendere di luna piena.

Erano i primi anni del Seicento, e la giovane e bellissima Costanza della nobile famiglia Conti andò sposa ad un appartenente all'antica casata dei De Cupis. Costanza aveva delle mani perfette, ad un punto tale che queste erano cantate dai poeti dell'epoca, ed un artista, Bastiano alli Serpenti, aveva chiesto e ottenuto di poter riprodurre la forma di una di esse in un calco di gesso. Il calco della mano della ragazza, magistralmente eseguito, fu esposto nella bottega dell'artista, protetto da una teca di vetro e adagiato su un piccolo cuscino di velluto.

Per la sua bellezza, la mano divenne subito meta di un vero e proprio pellegrinaggio di curiosi e visitatori ammirati. Sembra che uno di questi, un prete di San Pietro in Vincoli, dopo averla vista esclamò che per la sua bellezza la mano correva il rischio di essere tagliata, se fosse appartenuta ad una persona viva.

L'affermazione poco felice giunse alle orecchie di Costanza, e da quel giorno la donna si ridusse a vivere nel terrore, tra oscuri presentimenti, e forse anche presa dal timore di essere punita per aver ceduto alle lusinghe della vanità. Predizione che non tardò a verificarsi: un giorno, mentre la giovane era intenta al ricamo, si punse profondamente un dito: la ferita in poco tempo si infettò e la mano, gonfia e deformata, dovette essere amputata.

Né ciò bastò a salvarle la vita: amareggiata per quanto era accaduto, e tormentata per la sua mano perduta, Costanza morì poco tempo dopo. La storia divenne presto leggenda e l'immaginario popolare romano vuole che ancora oggi, a distanza di secoli, nelle notti di luna piena, il riflesso di quella mano che fu causa di tanta sventura appaia, bianco e perlaceo, dietro una finestra del palazzo.

(testo a cura di A.Toso Fei, Misteri di Roma, Venezia 2012) 

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