IL BALDACCHINO BERNINIANO NELLA BASILICA DI SAN PIETRO - STORIA E SIMBOLOGIA

Il 29 giugno 1633 veniva inaugurato il grande Baldacchino sull'altare di San Pietro, commissionato da papa Urbano VIII a Gian Lorenzo Bernini. Autentico capolavoro dell'arte barocca, il Baldacchino fu realizzato con 8372 libbre di bronzo, provenienti in gran parte dalla spoliazione del Pantheon.

Sui piedistalli delle colonne ritorte alte oltre 11 metri è ripetuto otto volte lo stemma del Pontefice, uno scudo con tre api sormontato dalle chiavi incrociate e dalla tiara. A prima vista sembrerebbero tutti uguali, invece presentano delle significative differenze.

Cominciando dal primo piedistallo a destra e procedendo in senso antiorario, guardando bene si nota tra lo stemma e le chiavi di San Pietro una testa di donna, ripetuta ogni volta, la cui espressione muta progressivamente verso una manifesta sofferenza, come se stesse per partorire. Inizialmente contratto all'apparire delle prime doglie, il volto si stravolge verso la fine in un urlo silenzioso, lo sguardo pieno di dolore, i capelli spettinati. Gli ultimi due stemmi presentano la testina allegra di un cherubino: il parto si è concluso felicemente, una nuova vita è nata al mondo. Anche nel primo piedistallo a sinistra c'è la testa di un bambino, come se fosse il profilarsi di ciò che dovrà accadere. Guardati di lato, gli stemmi diventano progressivamente sempre più sporgenti, come il ventre di una donna durante la gravidanza, mentre l'ultimo torna piatto come dopo un parto.

E non è tutto! Ogni stemma ha, nella parte inferiore, un piccolo mascherone: questo richiama nella forma i genitali femminili, che mutano anch'essi in sequenza nelle diverse fasi del travaglio, corrispondenti ai volti della donna che sta per partorire.

Le congetture sul perché Gian Lorenzo Bernini abbia fatto una scelta così singolare per il Baldacchino di san Pietro, centro della Cristianità, sono tantissime, sebbene pochi siano convinti che l'artista abbia agito senza che Urbano VIII fosse a conoscenza del progetto: secondo alcuni si tratterebbe di un augurio a una nipote del papa, che ebbe un figlio dopo aver desiderato a lungo una gravidanza. Per contro, un'altra versione racconta come i soggetti delle sculture siano stati dettati dal disappunto di Bernini nei confronti del pontefice, che avrebbe vietato un matrimonio riparatore tra una sua nipote e l'artista.

La metafora del parto prosegue nelle interpretazioni: che si tratti di un riferimento alla lunga elaborazione con cui Bernini portò a termine il Baldacchino, ben nove anni, dal 1624 al 1633; oppure una glorificazione del papato di Urbano VIII che dopo una "gestazione" non priva di sofferenze, aveva trasformato un mondo in guerra, preda di ignoranza e vizio, in una stagione di prosperità. Un parto felice di Mater Ecclesia, insomma.

Ma il Baldacchino nasconde altre storie segrete.

Nel 1626, nel corso dei lavori furono trovate delle sepolture ritenute poco importanti, finché nei giorni successivi non iniziarono a morire improvvisamente le persone coinvolte (trecento anni prima di quanto accadde agli scopritori della tomba egizia di Tutankhamon). Riaffiorò allora alla memoria una lettera scritta mille anni prima, che invitava a fare un po' di attenzione...

Fu il Bernini in persona a misurare il luogo dove dovevano cadere i siti dei pilastri del Baldacchino, che doveva sorgere perpendicolarmente alla tomba del Principe degli Apostoli, e a dare l'ordine di iniziare lo scavo dopo che Nicolò Alemanni, primo custode della Biblioteca Vaticana e dell'allora annesso Archivio di Castel Sant'Angelo, aveva dato il via libera sulla base di uno studio storico commissionato da Urbano VIII. Ma ben presto affiorarono dal pavimento tumuli e sepolcri. Ecco il resoconto delle vicenda redatto nelle ore successive alla scoperta: "Ai primi corpi che fossero aperti e levati vi fu chiamato e si trovò presente l'Alemanni [...] donde uscì fuori nuova voce poco considerata che quei primi potessero esser corpi di non santi; e ancora di persone non ecclesiastiche. Il giorno seguente [11 luglio 1626, n.d.R.] cascò l'Alamanni in infermità grave, e subito giudicato mortale aggravandosi sempre il male nel quarto decimo venne a morte".

Il bibliotecario del papa si ammalò e morì per non aver considerato degni di nota quei sepolcri, ma soprattutto per aver agito in maniera leggera attorno alla tomba di Pietro. Immediatamente infatti si sparse la voce dell'esistenza di una lettera, scritta mille anni prima da Gregorio Magno, con la quale il pontefice descriveva il potentissimo sortilegio lanciato a protezione del corpo dell'Apostolo, al quale nessuno poteva pensare di avvicinarsi senza la necessaria deferenza. Ma i sospetti di avere agito senza zelo o pietà furono confutati da chi era presente agli scavi.

Nondimeno, la credenza si diffuse con ancora maggiore velocità quando Francesco Schiaderio, cappellano segreto del papa, cadde a terra malato, nei giorni successivi, e quasi nello stesso momento Bartolomeo, l'amanuense di Urbano VIII, morì di una malattia fulminante. A quanto si diceva, lo stesso papa fu colpito da una forte indisposizione, "et come varie sono in Roma le passioni, così vari erano i discorsi e diversi i pareri. Chi si turbava per rispetto divino, et all'opera non si dava più quell'applauso di prima. I preti medesimi della basilica che nel principio stimavano grazia e privilegio il poter assistere cominciarono a ritirarsi, e si interpretava irreverentia e quasi sacrilegio ciò che prima era stimato devoto e reverente ossequio".

Nelle settimane successive quasi non si parlò d'altro che dell'epistola di San Gregorio e dell'opportunità di erigere il Baldacchino. Lo stesso Urbano VIII, colto da scrupolo, fece leggere e rileggere la lettera a persone "dotte e pie": queste conclusero che le valutazioni del povero Alemanni erano da considerarsi fondate, e che l'opera non aveva "altro fine che l'onore e la gloria di Dio". Alla fine fu deciso che i lavori potevano procedere.

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(da A.Toso Fei, Misteri di Roma, Venezia 2012).