LE FASI PREPARATORIE: ALLESTIMENTO DEL PONTEGGIO E SCELTA DEGLI AIUTI

Sebbene l'idea di rinnovare la decorazione della Cappella Sistina risalga alla primavera del 1506, Michelangelo non effettuò alcuno studio in proposito prima della firma del contratto avvenuta 2 anni più tardi. Posteriori a questa data sono infatti sia gli studi di Londra e Detroit ancora legati ai progetti dei Dodici Apostoli, sia soprattutto l'elaborazione dello schema definitivo che Michelangelo non avrebbe comunque potuto determinare nei singoli dettagli senza disporre del ponteggio di lavoro. La volta della Sistina è infatti una policentrica e per di più una cosiddetta "volta romana", dotata di una superficie estremamente irregolare, per cui misure precise non potevano essere ricavate da terra. Il primo problema che l'artista dovette affrontare fu quello del ponte: la Sistina era infatti la cappella pontificia e, a differenza del tempo in cui Sisto IV l'aveva fatta ristrutturare e decorare, doveva rimanere agibile durante tutto il tempo dei lavori, per cui era necessario progettare una struttura che non ne ingombrasse in alcun modo la parte bassa.

Inizialmente l'incarico venne affidato al Bramante il quale progettò e forse realizzò una piattaforma sospesa, trattenuta da funi che, a detta di Vasari e Condivi, "pertusavano la volta": una struttura molto simile cioè a quella usata in seguito da Pietro da Cortona per affrescare le volte del Salone di Palazzo Barberini. La soluzione non piacque a Michelangelo sia, probabilmente, per la sua mancanza di stabilità, sia perché determinava il problema di come chiudere i fori attraverso cui passavano le funi di sostegno. Egli ne chiese ragione al Bramante e poiché la risposta "vi si penserà poi" non gli piacque, domandò ed ottenne dal papa di fare da sé.

La struttura realizzata dal Buonarroti era anch'essa pensile e consisteva sostanzialmente nell'adattamento a ponteggio di un'armatura per gettare le volte. Essa era dotata di una piattaforma centrale da cui l'artista realizzò le storie della Genesi e gli Ignudi; di gradinate laterali da cui dipinse la serie dei Veggenti e quella delle vele; mentre da un'altra piattaforma, che correva alla base del ponte e alla quale si accedeva togliendo le tavole delle gradinate, affrescò gli Antenati delle lunette. In sostanza si trattò di un impianto che permetteva di lavorare in qualsiasi punto della volta, senza creare ingombro nello spazio sottostante dove potevano continuare ad essere officiate le consuete cerimonie liturgiche.

Un'immagine di questa struttura vista in sezione ci è conservata da un vivacissimo schizzo a penna eseguito a margine di un disegno oggi agli Uffizi: Michelangelo lo tracciò probabilmente in occasione del rimontaggio del ponte nel 1511 per mostrare al pontarolo come doveva essere eseguito il lavoro e ciò facendo utilizzò il primo foglio che gli capitò sottomano, significativamente uno studio per la Creazione dell'Uomo, cioè la prima scena realizzata con la seconda pontata.

Il ponte fu costruito da Piero Rosselli al quale il Buonarroti affidò anche il compito di scalpellare la decorazione preesistente e di applicare lo strato dell'arriccio così che nei mesi estivi avesse il tempo di asciugare perfettamente: nonostante ciò, la novità dei materiali romani - pozzolana, calce di travertino - creò ugualmente dei problemi al sopraggiungere dell'inverno, tanto che dovette intervenire Giuliano da Sangallo per porvi rimedio. Nel luglio del 1508 queste operazioni erano terminate e il periodo immediatamente successivo fu impiegato per portare avanti la progettazione grafica degli affreschi e per individuare e acquistare i colori necessari.

In questa fase l'artista si fece probabilmente assistere da Aristotele da Sangallo che aveva esperienza di costruzione di ponteggi ed era in possesso di notevoli cognizioni prospettiche, qualità in entrambi i casi derivate dalla sua formazione in ambito familiare e dalla sua frequentazione con Bramante. Con lui vi fu inoltre Francesco Granacci, l'amico fin dall'infanzia, che Michelangelo aveva incaricato di scegliere i "garzoni" e al quale affidò il ruolo di capomastro, con il compito di aiutarlo anche nella ricerca dei colori.

Ad ottobre tutte le operazioni preliminari erano probabilmente terminate e, a quel che sembra, fu a quel punto che il Buonarroti fece venire a Roma gli aiuti individuati dal Granacci. Grazie alle fonti e al carteggio michelangiolesco conosciamo i nomi di tutti i membri della bottega: ai già menzionati Granacci e Aristotele, vanno aggiunti Giuliano Bugiardini, Agnolo di Donnino e Iacopo di Sandro. Con quest'ultimo vi furono dei contrasti, forse di natura economica, fin dall'inizio, e in gennaio Iacopo lasciò Roma prontamente sostituito da Jacopo di Lazzaro di Pietro Torni, il quale proveniva come la maggior parte degli altri dalla bottega del Ghirlandaio ed aveva quindi quel tipo di formazione che gli permetteva di coprire adeguatamente il ruolo rimasto vacante.

Stando alle fonti, la bottega operò in Sistina per un tempo brevissimo e Michelangelo "veduto le fatiche loro molto lontano dal desiderio suo e non soddisfacendogli, una mattina si risolse di gettare in terra ogni cosa che avevano fatto" (Vasari).

In realtà le cose andarono diversamente: i "garzoni" rimasero sul ponte per circa un anno e il loro intervento non si limitò a compiti ausiliari, di supporto, come l'esecuzione delle parti ornamentali di cornice. La loro presenza si avverte con molta chiarezza nei putti dei rilievi dei troni dei Veggenti e nei tondi monocromi, ma anche, sia pure con meno evidenza, nelle tre storie di Noè, le prime realizzate dal Buonarroti, il quale iniziò a lavorare dalla zona antistante la parete d'ingresso, lasciando per ultima quella soprastante l'altare.

Si tratta di una presenza riconoscibile soprattutto per un calo qualitativo delle immagini e per l'adozione di tecniche esecutive differenti dal punto di vista dello spessore del colore, delle modalità di impiego della preparazione, del tratteggio di rifinitura. Essa si avverte nel gruppo dei Figli di Noè nell'Ebbrezza, in alcune parti del Diluvio, e nel Sacrificio di Noè, in figure che denotano una timidezza esecutiva del tutto improponibile per il Michelangelo che nello stesso momento realizzava immagini come la Sibilla Delfica, gli Ignudi intorno all'Ebbrezza, o, nel Diluvio, la figura del vecchio che approda all'isolotto portando il corpo del figlio morto.

La presenza degli aiuti non significa peraltro che essi abbiano goduto della libertà consueta nella bottega del Ghirlandaio. Michelangelo esercitò infatti un controllo rigorosissimo con ogni probabilità intervenendo personalmente a rifinire l'operato dei singoli, il che spiega il livello qualitativo generalmente altissimo nonostante locali, limitati, cali di tono. Al di là di questo controllo diretto, strumento principale delle rigorose linee guida fu l'esecuzione preliminare di cartoni accuratissimi pressoché per tutte le figure della volta, con la sola eccezione degli Antenati delle lunette, dei Nudi bronzei a lato delle vele e, probabilmente, dei putti reggitarga. Ciò dovette comportare l'impiego di moltissima carta, decisamente costosa per quell'epoca, ed è tragico constatare che neppure un esemplare di quell'incredibile tesoro grafico sia giunto fino a noi. Di quattro "pezzi d'i cartoni della Cappella, di Ignudi e Profeti", sappiamo che al tempo del Vasari erano in possesso degli eredi di Girolamo degli Albizi; quello dell'Ebbrezza fu donato a Bindo Altoviti, per quanto riguarda gli altri, sembrerebbe che siano stati bruciati tutti nel 1517 per ordine dello stesso Michelangelo.

FOCALIZZA: ANALISI TECNICA E STILISTICA DELLA VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA

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