LA STANZA DI ELIODORO (1511-1514)
Il grande regista delle prime due stanze fu certamente papa Giulio II Della Rovere, ispiratore dei temi affidati a Raffaello che, in maniera ineguagliabile, seppe interpretarli e tradurli in figura. Qui, nella stanza destinata al ricevimento degli ospiti illustri, gli argomenti trattati riguardano la Provvidenza e la protezione accordata da Dio all'Uomo. Per questo, sulla volta della sala, intorno allo stemma di Niccolò V (1447-1455) appartenente alla decorazione originaria, Raffaello dipinse quattro episodi biblici che vanno posti in relazione con quelli delle pareti. La scena di Mosè che prega dinanzi al roveto ardente (Esodo, III, 1-12) sovrasta infatti l'episodio che dà il nome a tutto il ciclo, la Cacciata di Eliodoro dal Tempio (1511), tratto dal Secondo Libro dei Maccabei, III, 7-40.
Vi si narra di Eliodoro, ministro del Re di Siria Seleuco IV (187-175 a.C.) che era stato inviato in Giudea per confiscare il tesoro del Tempio di Gerusalemme. Onia, il sommo sacerdote, lo aveva messo in guardia contro una tale profanazione, rimanendo inascoltato. Raffaello mostra il momento culminante della vicenda, quando comparve "un cavallo bianco bardato con splendida armatura e montato da un terribile cavaliere ... Davanti a lui apparvero altri due giovani ... i quali postiglisi ai due lati flagellavano [Eliodoro] ininterrottamente ... D'un tratto caduto a terra fu avvolto da folte tenebre", lasciando a terra il tesoro del Tempio che Raffaello ha dipinto con una sfoglia d'oro che muta lucore in base alla posizione dell'osservatore. La scelta dell'episodio biblico fu suggerita dagli avvenimenti contemporanei. Proprio in quegli anni Giulio II riuscì a liberare dai Francesi la Lombardia, Bologna e la Romagna. A Roma, narrano le cronache, fu accolto "come mai Cesare ni altro capitano", il che spiega la presenza del papa nell'affresco. Sulla sinistra infatti possiamo ammirare Giulio II seduto sulla sedia gestatoria sostenuta da dignitari di corte tra i quali è raffigurato l'incisore Marcantonio Raimondi (1480 - 1530) oltre allo stesso Raffaello.
In corrispondenza del Sacrificio di Isacco, dipinto sulla volta, troviamo la Messa di Bolsena (1512), affrescata sulla parete meridionale intorno alla finestra che guarda verso il Cortile del Pappagallo. Una difficoltà questa brillantemente superata da Raffaello. L'artista, infatti, ha immaginato un presbiterio con le scale laterali che conducono all'altare dove si svolge la scena della Messa, collocata tra la finestra e la volta. Ai lati, ha dipinto a destra i dignitari del papa che assiste alla funzione e a sinistra i chierici e i fedeli che pregano con il sacerdote officiante. L'episodio miracoloso avvenne nel 1263 e riguarda Pietro da Praga, un sacerdote boemo scettico riguardo alla reale presenza del Corpo e del Sangue di Cristo nell'Ostia consacrata, che celebrava nella chiesa di Santa Cristina a Bolsena. Al momento della elevazione egli vide stillare sangue dall'Ostia, che macchiò anche il corporale. Fu questa l'occasione per istituire l'11 agosto del 1264 la festività del Corpus Domini, voluta da papa Urbano IV, con cui si solennizza il dogma della Transustanziazione, ovvero la conversione della Sostanza del pane nella Sostanza del Corpo di Cristo, durante l'Eucarestia.
Sulla parete di fronte, occupata dalla finestra che guarda verso il Cortile del Belvedere, in corrispondenza della scena della volta con la Scala di Giacobbe, Raffaello dipinse la liberazione di San Pietro dal Carcere, da considerare il più straordinario notturno della pittura italiana. L'episodio è narrato negli Atti degli Apostoli (XII, 6-9) ed è diviso in tre momenti. Al centro, l'Angelo inviato a liberare San Pietro entra nel carcere Mamertino; la scena è di estrema suggestione per gli incredibili effetti di controluce creati dalla abbagliante aureola dell'Angelo in contrasto con l'oscurità del carcere. A sinistra alcuni soldati disorientati sotto il pallido chiarore lunare cercano di capire cosa sta succedendo; a destra, l'angelo luminoso conduce fuori dalla prigione un San Pietro intimorito.
Sulla parete occidentale sotto la scena della Apparizione di Dio a Noè sulla volta, campeggia l'affresco con l'Incontro di Attila e Leone Magno (1512-1513). L'accostamento tra l'episodio biblico e quello storico esalta la certezza che Dio salva sempre i giusti. Come Dio si palesò per proteggere il patriarca dal Diluvio, così inviò Pietro e Paolo per allontanare gli Unni dall'Italia. L'incontro era avvenuto davvero nel 452, ma sulle rive del fiume Mincio e non alle porte di Roma, come risulta invece dalla ambientazione dell'affresco e dagli elementi paesaggistici dello sfondo. Anche in questo caso si voleva alludere a vicende contemporanee, ossia agli scontri con i Francesi che solo nel 1512 lasciarono definitivamente i territori della Chiesa. L'anno dopo Giulio II Della Rovere morì e Raffaello dovette sostituire il volto di Leone I Magno (papa dal 440 al 461) in origine ispirato ai tratti di Giulio II, con quello del successore Leone X Medici; il resto della scena rimase invariato.