LA BASILICA DI SANTO STEFANO ROTONDO AL CELIO

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La denominazione Santo Stefano Rotondo è recente, perché la chiesa viene ricordata nelle fonti tardoantiche e medievali come Sanctus Stephanus in Monte Celio. Dedicata da Papa Simplicio nella seconda metà del V secolo, fu costruita sulle fondazioni di una caserma come la vicina Santa Maria in Domnica. L'edificio a cui ci si riferisce è quello dei Castra Peregrina, che ospitava i soldati degli eserciti provinciali impiegati a Roma per funzioni particolari: di polizia, come corrieri, per approvvigionare la corte imperiale. Gli scavi compiuti tra il 1969 e il 1975 sotto il pavimento della basilica e nella zona adiacente entro il perimetro della chiesa primitiva hanno riportato alla luce strutture murarie pertinenti a due edifici, databili al II secolo, che subirono rimaneggiamenti nel corso del III e del IV. In particolare, in uno dei due edifici fu ricavato un mitreo, in seguito ampliato evidentemente per il favore di cui godeva il dio Mithra all'interno delle caserme. I Castra erano ancora in uso nel IV secolo, poiché viene ricordata dallo storico Ammiano Marcellino la carcerazione di un re alemanno che ivi sarebbe morto.

L'area della caserma, che era nel V secolo ancora di proprietà del fisco imperiale, non poteva essere occupata dalla chiesa senza il consenso dell'imperatore. Si può pertanto supporre che uno degli imperatori verso la fine dell'Impero Romano d'Occidente abbia non soltanto donato alla Chiesa, seguendo l'esempio di Costantino, l'area occupata dai Castra Peregrina, ma sostenuto economicamente proprio la costruzione della basilica. Ulteriori indagini nella cappella dei Santi Primo e Feliciano hanno dimostrato che la caserma fu distrutta e livellata per la costruzione della basilica probabilmente nel secondo quarto del V secolo, come si desume dall'analisi del materiale ceramico di riempimento. E' pertanto stata avanzata dal Brandenburg l'ipotesi della fondazione della chiesa prima della metà del V secolo da parte dell'imperatore Valentiniano III (425-455). Recentemente la studiosa Margherita Cecchelli ha proposto una datazione all'epoca di Maiorano (457-461).

Di particolare interesse è la forma architettonica dell'edificio composto da una rotonda centrale, circondata da un ambulacro che si apriva, attraverso un colonnato, su quattro bracci di croce greca e su quattro settori diagonali, formanti un secondo ambulacro circolare. Nel XII secolo la chiesa assunse la forma attuale: fu, quindi, ridotta alla sola rotonda centrale, all'ambulacro e al braccio nord-est (odierna cappella dei Santi Primo e Feliciano). In origine, ogni settore intermedio era diviso in due compartimenti di diversa grandezza da un muro circolare privo di aperture; aveva, inoltre, due ingressi attraverso i quali i fedeli erano indirizzati verso il vano più esterno del settore diagonale, e, da qui, ai bracci di croce che davano accesso all'ambulacro e alla rotonda centrale. Tutte le porte del muro periferico dei settori diagonali sembrano essere state tamponate, tranne le due accanto al braccio nord-orientale, evidentemente in seguito a un cambio di progetto poiché la muratura di tamponatura degli ingressi è identica a quella del corpo della chiesa. Anche le volte in tubi fittili, destinate a coprire i vani maggiori dei settori diagonali, risultano inserite in un secondo momento nella muratura dell'ambulacro (oggi muratura esterna della chiesa).

L'edificio misurava 22,50 m in altezza e aveva un diametro di 65,80 m; queste dimensioni notevoli ricordano quelle delle grandi chiese imperiali di Roma. L'importanza della fondazione di Santo Stefano si rivela anche nella sua ubicazione, perché eretta a poca distanza dalla basilica lateranense, edificata a sua volta sopra i Castra Nova Equitum Singularium, corpo militare scelto a cui era affidata la protezione dell'imperatore.

Un evento importante avvenne al tempo di Papa Teodoro I (642-649), il quale fece traslare le reliquie dei due Santi sopra menzionati dalle catacombe della Via Nomentana nel braccio nord-orientale della basilica. Nella cappella loro dedicata è in gran parte conservato il mosaico del catino absidale con al centro il medaglione con il busto di Cristo su una croce gemmata e, ai lati, Primo e Feliciano, ed è stato di recente restaurato il magnifico pavimento originario in lastre marmoree.

Dopo il XII secolo l'edificio, privo di un clero regolare, fu trascurato per molto tempo e nel 1420 la chiesa veniva descritta come basilica disrupta, al punto che se ne giunse a interpretare i resti come quelli di un tempio dedicato al dio Fauno. La convinzione che la chiesa derivasse dalla riutilizzazione di un edificio romano durò fino al XIX secolo, così come la errata denominazione di "Tempio di Bacco".

Papa Niccolò V (1447-1455) affidò il restauro completo dell'edificio allo scultore e architetto fiorentino Bernardo Rossellino, che rifece le coperture e il pavimento, rialzandone la quota, collocò al centro dell'edificio un altare marmoreo, eliminò definitivamente il cadente ambulacro esterno e tamponò le colonne del secondo anello con un robusto cilindro murario che corrisponde all'attuale parete esterna dell'edificio. La chiesa venne quindi affidata all'Ordine Paolino che la mantenne fino al 1580, quando Papa Gregorio XIII la affidò al "Collegium Hungaricum", poi a sua volta unificato al "Collegium Germanicum", un convitto retto dai Gesuiti e destinato ai sacerdoti di lingua tedesca.

Nello stesso anno venne realizzata la nuova porta della sacrestia e intorno all'altare venne costruito un recinto ottagonale, decorato con sculture (stemmi papali) e affreschi di Niccolò Circignani, detto il Pomarancio. Il recinto è decorato con 24 scene che imitano rilievi scultorei, in toni di giallo, raffiguranti la storia di Santo Stefano e del suo culto, in particolare, in Ungheria.

Nel 1583 lo stesso Pomarancio ricevette l'incarico di affrescare il muro che chiudeva l'ambulacro con scene di martirio. Il ciclo inizia con la Strage degli Innocenti, continuando con la Crocifissione di Gesù, a cui segue il martirio di Santo Stefano, con sullo sfondo le raffigurazioni dei supplizi degli Apostoli. I dipinti sono forniti di didascalie in latino e in italiano. Alcune delle scene, in cattivo stato di conservazione, vennero malamente ridipinte nel XIX secolo.