L'ARCO DI COSTANTINO IN PIAZZA DEL COLOSSEO
"In hoc signo vinces": in questo segno vincerai. Fu guardando verso il sole, sotto una croce di luce apparsa improvvisamente nel cielo, che Costantino ebbe la leggendaria visione di questa frase, in realtà riportata in greco (én tòuto nìka) e non in latino. Un evento straordinario che avvenne mentre l'imperatore marciava a capo del suo esercito per fronteggiare le truppe di Massenzio, schierate alle porte di Roma presso Ponte Milvio. Era il 27 ottobre del 312 d.C. Dapprima incerto sul reale significato della visione, Costantino ebbe nella notte un sogno nel quale Cristo gli spiegava di usare il segno della croce contro i suoi nemici. Alcune versioni della leggenda spiegano che il condottiero fece decorare gli scudi dei suoi soldati con il simbolo della croce.
Costantino aveva il compito di porre fine alla ribellione di Massenzio che, in aperto contrasto con la sua esclusione dalla successione alla carica imperiale, si era fatto nominare princeps sei anni prima, assumendo il controllo dell'Italia e dell'Africa. La battaglia fu combattuta il giorno successivo: per fronteggiare l'esercito rivale, Massenzio schierò erroneamente le sue forze in fila lungo il Tevere, dando le spalle al fiume. I risultati furono disastrosi: nel tentativo di fuggire, il princeps ed i suoi soldati finirono annegati nel fiume. Il corpo di Massenzio fu ritrovato e la sua testa fu portata in trionfo dalle truppe vittoriose di Costantino.
L'arco onorario fu così voluto dal Senato per commemorare l'evento e venne completato nel 315 d.C. Costantino fu proclamato imperatore unico d'Occidente e secondo la tradizione dedicò la vittoria al Dio dei Cristiani, ponendo fine alle persecuzioni. Sull'iscrizione dell'attico dell'arco esiste ancora oggi nella terza riga la frase "instinctu divinitatis " ("per ispirazione divina") che ha acceso lunghe discussioni tra gli studiosi: secondo alcuni sarebbe da mettere in relazione all'avvenimento e all'atteggiamento di benevolenza nei confronti della nuova religione. Tutto ciò malgrado siano presenti tra i rilievi dell'arco diverse scene di sacrificio a divinità pagane come Eracle, Apollo, Marte.
Sull'attico dell'arco sono rappresentati anche otto prigionieri, quattro per lato, sui quali vale la pena di soffermarsi un attimo. La prima curiosità è che non sono prigionieri di Costantino bensì di Traiano (rappresentavano in origine gli otto capitribù Daci vinti da Traiano nelle campagne sul Danubio tra il 103 ed il 106 d.C.), e furono trasferiti qui da un monumento dedicato a Traiano, forse proprio dalla Basilica Ulpia nel foro di Traiano. La seconda particolarità è che nel 1530, mentre regnava Clemente VII della casata fiorentina dei Medici, le statue furono tutte decapitate. Si scoprì poi che a compiere il gesto era stato il suo parente Lorenzino de' Medici, con grande sdegno del pontefice: furono subito pubblicati due bandi, uno di esilio perpetuo, e un altro che prometteva un premio a chi lo avesse ucciso. Lorenzino fu costretto a fuggire per salvarsi, ma rimase talmente colpito dalla reazione suscitata a Roma che, per cancellare l'ignominia e riscattare il suo nome prese la decisione di uccidere suo cugino Alessandro de' Medici, primo duca di Firenze, per liberare la città dal giogo del parente. Ucciso che ebbe il duca, nel 1537, non ottenne però il sostegno del popolo di Firenze, e finì i suoi giorni pugnalato da un sicario. Quanto alle statue, dovettero aspettare duecento anni e cinque papi di nome Clemente prima di recuperare la loro testa: fu infatti Clemente XII - un altro fiorentino, Lorenzo Corsini - a farne adattare delle altre, restaurando con l'occasione tutto l'arco.
(da A.Toso Fei, Misteri di Roma, Venezia 2012, p. 142).
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