IL CORTILE OTTAGONO NEL MUSEO PIO CLEMENTINO E I SUOI CAPOLAVORI

Il Cortile Ottagono, in passato detto Cortile delle Statue, ospitò il primo nucleo delle collezioni pontificie di antichità classiche. Alla fine del XV secolo l'area, collocata al centro del Palazzetto di Innocenzo VIII in Belvedere, aveva una forma quadrata e l'aspetto di un giardino con piante di aranci e fontane.

Qui Papa Giulio II della Rovere (1503-1513) allestì una straordinaria raccolta di sculture antiche, che mirava a far rivivere la Roma dei Cesari nella Roma dei Papi. In parte le opere arrivarono dalla sua raccolta privata di antichità, in parte vennero acquistate appositamente secondo un programma che, attraverso il richiamo alla fondazione di Roma cantata da Virgilio nell'Eneide, presentava il Pontefice come nuovo Cesare.

Negli anni immediatamente successivi la raccolta si arricchì di ulteriori sculture, ma questo luogo conobbe anche un lungo periodo di oblìo.

Nella seconda metà del Settecento, quando i Pontefici Clemente XIV Ganganelli e Pio VI Braschi decisero di trasformare la raccolta in un museo dalla struttura organica, il Cortile venne inserito nel nuovo progetto museale (oggi Museo Pio-Clementino) e ne divenne il fulcro. Per proteggere le opere dalle intemperie e aumentare la superficie espositiva, l'area fu trasformata in un ottagono cinto da portici, secondo il progetto dell'architetto Michelangelo Simonetti.

Le sculture più importanti della raccolta sono conservate nei cosiddetti Gabinetti, posti in corrispondenza dei quattro angoli principali; all'inizio dell'Ottocento Antonio Canova ne fece murare gli accessi frontali, di nuovo aperti nel 1957.

Nonostante il passare dei secoli e i cambiamenti intervenuti, alcune delle sculture si trovano qui fin dagli inizi del XVI secolo: il Laocoonte naturalmente, ma anche l'Apollo del Belvedere, la Venere Felice, la statua di divinità fluviale c.d. Arno, così come il ciclo delle maschere teatrali da Villa Adriana, inserite fin dalle origini nell'architettura del cortile.

APOLLO DEL BELVEDERE

La statua faceva parte della collezione che il Cardinale Giuliano della Rovere possedeva nel suo palazzo a Santi Apostoli. Divenuto Papa con il nome di Giulio II (1503-1513), la scultura fu trasferita in Vaticano, dove è attestata almeno fin dal 1508. Il dio Apollo incede regale e sembra aver appena vibrato un colpo con il suo arco che, originariamente, doveva impugnare con la mano sinistra. L'opera, databile entro la metà del II secolo d.C., è oggi considerata la replica di un bronzo eseguito tra il 330 e il 320 a.C. da Leochares, uno degli artisti che lavorarono al Mausoleo di Alicarnasso. Molto ammirata fin dalla sua collocazione del Cortile Ottagono, deve la sua consacrazione alle ispirate pagine di Johann Joachim Winkelmann che la considerava una sublime espressione dell'arte greca, "il più alto ideale dell'arte tra le opere antiche che si sono conservate fino a noi".

DIVINITA' FLUVIALE (ARNO)

La statua di divinità fluviale, dalla caratteristica posizione semi-recumbente, è databile all'età adrianea ed è ispirata a un prototipo ellenistico. Nei primi decenni del XVI secolo era collocata nel Cortile Ottagono a ornamento di una fontana costituita da un sarcofago databile in età antonina e decorato da una scena di battaglia tra Greci ed Amazzoni. La scultura subì ampie integrazioni ad opera di un valente artista rinascimentale, cui si deve l'espressivo volto barbato. Una piccola testa di leone venne inoltre ricavata nel vaso, sempre di restauro, con ogni probabilità in omaggio a Leone X Medici (1513-1521), mentre l'anello anulare destro reca lo stemma della casata fiorentina. Questi elementi sembrano suggerire una identificazione con il fiume Arno, anche se la presenza del felino, interpretato come una tigre, ha in passato orientato verso il fiume mesopotamico Tigri.

GRUPPO DEL LAOCOONTE

Il gruppo scultoreo del Laocoonte e i suoi figli, noto anche semplicemente come Gruppo del Laocoonte, rappresenta il famoso episodio cantato nell'Eneide che vede il sacerdote troiano Laocoonte ed i suoi figli Antifante e Timbreo uccisi da serpenti marini.

Plinio il Vecchio scriveva di aver visto una statua del Laocoonte nella casa dell'imperatore Tito sul Colle Oppio, attribuendola a tre scultori provenienti da Rodi: Agesandro, Atenodoro e Polidoro.

Il gruppo rappresenta il sacerdote troiano di Apollo che, dopo aver manifestato dubbi circa l'opportunità di far entrare dentro le mura di Troia il grande cavallo lasciato dagli Achei sulla spiaggia dopo il loro falso ritiro dalla guerra ("timeo Danaos et dona ferentes...": temo i Greci e i doni che portano), viene punito da Atena, protettrice degli Achei, che invia due mostruosi serpenti marini ad uccidere lui e i suoi figli. Il capolavoro fissa nel marmo il momento di grande pathos in cui Laocoonte ed i figli vengono stretti e soffocati dalle spire dei due mostri.

Il gruppo scultoreo, ritrovato casualmente nel gennaio del 1506 durante lavori agricoli in una vigna sull'Esquilino, fu subito acquistato da Papa Giulio II dietro consiglio di Michelangelo giunto a Roma appositamente da Firenze per assistere al ritrovamento, e nel maggio dello stesso anno fece il suo ingresso tra le mura vaticane, andando a costituire la prima opera in assoluto delle collezioni d'arte dei nascenti musei vaticani.

Varie cronologie sono state avanzate per questo capolavoro della scultura antica, oscillanti tra metà del II secolo a.C. alla metà del I secolo d.C. Bernard Andreae ha ipotizzato che il Laocoonte sia una copia di un originale bronzeo ellenistico. Si è ritenuto che l'originale in bronzo fosse stato realizzato a Pergamo, come lascerebbero ritenere alcuni confronti stilistici con opere della città della Ionia d'Asia. Le relazioni amichevoli tra Pergamo e Roma erano infatti corroborate dalla diffusione di miti legati a Troia, alla quale si ricollegano le leggende di fondazione di entrambe le città.

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